Il naufragio di Monti affonda pure Bersani Ora l'incarico vacilla

La figuraccia complica la crisi: Napolitano pretende un governo solido con numeri certi. Ecco perché la missione del leader Pd rischia di fallire

Il naufragio di Monti affonda pure Bersani Ora l'incarico vacilla

Le dimissioni di Giulio Terzi che sbatte la porta al governo di cui fa parte e lo fa pubblicamente, nell'aula della Camera. Un esecutivo assediato dagli eventi, in via di sbriciolamento, in balia dei propri conflitti interni e ora privo del titolare degli Esteri. Lo stupore di Mario Monti per «le valutazioni non condivise» del suo ministro, per un addio non preannunciato e per malumori di cui non era stato informato. L'assegnazione dell'interim da parte di Giorgio Napolitano allo stesso presidente del Consiglio, investito così di un nuovo incarico. La risposta del ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola che rende ancora più eclatante lo strappo, ed evoca il fantasma del comandante Schettino. E ancora: la convocazione alle Camere del presidente del Consiglio che oggi riferirà sulla vicenda dei due fucilieri del San Marco e sul terremoto delle ultime ore.

Un appuntamento che, è facile prevedere, non contribuirà a seminare serenità e non regalerà nuovo lustro al Paese, in un momento in cui i fari dei media di tutto il mondo sono puntati sull'Italia. Senza dimenticare le accuse scritte sull'acqua delle autorità indiane. L'appello dei marò da Nuova Delhi che chiedono, inascoltati, al Paese di dimostrare unità. Ma anche un «particolare» emerso nelle ultime ore e che rende ancora più complicata la posizione del governo in carica: una nota datata novembre 2011, controfirmata dal titolare della Farnesina, Franco Frattini, e inviata a Palazzo Chigi, al ministero della Difesa e agli organi di sicurezza, che sconsigliava l'utilizzo di militari sulle navi antipirateria e segnalava la presenza di una falla giuridica che rendeva poco chiara la catena di comando e impediva di definire in maniera precisa chi avesse potere decisionale tra l'armatore, l'unità di crisi della Farnesina e la Marina. Un monito che invitava a un supplemento di riflessione rispetto alle implicazioni giuridiche di quella norma.

La «bomba marò» esplode tra le mani della compagine governativa e semina ulteriore tensione sulle consultazioni in corso. Una eclatante cartina di tornasole che dimostra quanto sia pericoloso continuare a oltranza il gioco degli incastri impossibili portato avanti da Pier Luigi Bersani e quanto sia irresponsabile perseguire la missione di un esecutivo purchessia, una sorta di «governo a piacere» privo di maggioranza. L'allarme rosso risuona ormai quasi assordante dalle parti del Quirinale, anche per la fattispecie delle dimissioni «irrituali» date davanti alle Camere. Un pasticcio che illumina il momento di una luce ancor più fosca e scolpisce la necessità di uscire dal vicolo cieco in cui il presidente del Consiglio incaricato si è infilato.

L'imperativo, allora, diventa quello di chiudere la poco gloriosa parentesi dell'incarico al segretario del Pd, tentare di azzerare il deficit di credibilità accumulato in questi ultimi mesi e aggravatosi in un mese di crisi politica e dare al più presto all'Italia un governo solido, con una base parlamentare larga e un mandato chiaro. Peccato che, stando a quanto circola, questo aumento della pressione esterna non stia portando consiglio a Bersani, ancora impantanato a cercare la direzione, a fare di conto di fronte a un pallottoliere impazzito e a ragionare su impossibili alchimie e sull'ipotesi di un governo di minoranza. Un esecutivo che non è chiaro neppure se possa contare sull'appoggio di Scelta Civica, prostrata dal capitombolo del proprio leader e sempre più prigioniera delle proprie divisioni interne con i montezemoliani pronti ad alzare la voce per rivendicare un governo di larghe intese.

Il sentiero, dunque, è strettissimo. Entro domani Giorgio Napolitano si aspetta i numeri.

Senza quelli il muro della fiducia resterà invalicabile anche qualora il numero uno del Pd dovesse chiedere di passare comunque sotto le forche caudine del Senato. A quel punto, finita la melina, tutti dovranno assumersi le loro responsabilità. E sarà inevitabile ridefinire il perimetro degli «amici» e dei «nemici».

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