Tocca al prode Stefano Bonaccini andare a prendersi i fischi e le lamentele al congresso di Sinistra e libertà. Fischi che erano dati per scontati, vista la dura polemica di Nichi Vendola contro una legge elettorale anti-cespugli; così il leader del Pd ha deciso fin da giovedì di risparmiarsi il viaggio a Riccione, e di mandarci invece l'emiliano (ed ex bersaniano) che è stato l'organizzatore della sua campagna congressuale. E che viene dal Pci, come buona parte dei dirigenti vendoliani.
Lo ha mandato con un ramoscello d'ulivo, che dimostra come nell'accordo Renzi-Berlusconi i due si siano premurati di lasciarsi un margine di trattativa per far rientrare le fronde: «Siamo pronti a discutere delle soglie di sbarramento», compreso quel 5% che atterrisce i piccoli partiti, da Ncd a Sel. E non solo quella, perché lo stesso Renzi fa sapere di essere disponibile, con l'avallo di un Quirinale che preme perché le riforme si facciano e in fretta, a ritoccare al rialzo anche la soglia del 35% per il premio.
Così, accolto inizialmente da bordate di contestazioni e urla di vituperio contro l'accordo elettorale col Caimano, alla fine Bonaccini si è preso anche qualche applauso. «È la democrazia, bellezza», commenta lui, «ci son state aspre ma civili contestazioni, ma ho finito di parlare tra gli applausi».
D'altronde, non è la pratica Sel a preoccupare Matteo Renzi, in questa fase. Anche perché, come spiegava ieri Vendola a Repubblica, «con il Pd l'alleanza ci vuole», e alternative non sono date. E neppure l'opposizione interna al Pd lo allarma più di tanto: la minoranza della mozione Cuperlo è profondamente divisa, e tutto ha meno che una strategia comune. Certo, Renzi sa che Pier Luigi Bersani, tornato a casa in convalescenza dall'ospedale di Parma, manda ai suoi messaggi molto radicali di guerra al segretario, incitando Stumpo e D'Attorre alla pugna. Ma a parte loro e qualche altro pasionario, il seguito parlamentare non è molto; ex dalemiani e Giovani Turchi sono aperti al confronto col leader e ne riconoscono il potenziale: «Basta vedere come è impazzito Grillo, che ora inizia ad addestrare i suoi per andare in tv: ha capito che Renzi li asfalta», dice il segretario Pd della Campania Enzo Amendola. E la bandiera delle preferenze non viene ritenuta molto forte: «Tutte le volte che, in queste ultime legislature, il Parlamento si è pronunciato a voto segreto sulle preferenze», ricorda Gianclaudio Bressa, franceschiniano che segue passo passo in commissione la legge elettorale, «non ci sono mai stati più di 80 voti a favore. La maggior parte di quelli che le rivendicano non ne ha mai presa una alle elezioni, e non saprebbe come fare». Oltretutto, ricorda Renzi, «circoscrizioni del Porcellum e collegi dell'Italicum, vicini al Mattarellum, non hanno niente a che fare». Al fronte anti-renziano mancano una strategia e un leader, anche perché Enrico Letta ha chiaro di non potersi permettere una guerra aperta con Renzi, pena la sopravvivenza del governo e la fine dei sogni di rilancio con il famoso «impegno 2014», tenuto in stand by da Renzi. «Starò fuori dalla partita della legge elettorale», ha assicurato il premier al segretario, dopo il tiro mancino sul conflitto di interessi.
Renzi rassicura sulla durata della legislatura: «La riforma storica non è la legge elettorale, ma tutto il pacchetto costituzionale», spiega. Quanto alle resistenze, «i mal di pancia sono naturali, ma il Pd ha deciso, e non si torna indietro. Sono le cose per cui in milioni hanno votato alle primarie».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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