Nel Pd scoppia la guerra dei soldi

Ecco il trucco degli ex comunisti: fondazioni per salvare il "tesoro". Nel mirino di Franceschini i palazzi del Pci. Sposetti, il cassiere che sbanca sempre

Nel Pd scoppia la guerra dei soldi

Roma - Ci mancavano solo i piccioli. Come se non bastasse lo stillicidio quotidiano offerto da chi si considera esponente del «nuovo» e accusa di «vecchio» il compagno di banco. O di chi sbandiera il vessillo della laicità tout court in faccia al collega di opinione opposta. Ma tant’è. Il Pd non finisce mai di annoiare, non c’è che dire. E adesso, riciccia fuori pure la vecchia ferita della «dote», evidentemente mai rimarginata del tutto. Un nervo scoperto, quello del patrimonio pre-nuziale dei due non più novelli ma sempre litigarelli sposi, che agita ancora i sonni dei possidenti Pci-Pds-Ds e dei giovani di belle speranze ex Ppi-Margherita.

Una questione non di poco conto, rilanciata a freddo - anzi a caldo, visto che il diretto interessato corre per la riconferma - nientemeno che dal segretario. È Dario Franceschini, infatti, chiudendo due giorni fa il seminario estivo della Scuola di politica di Salvatore Vassallo, nella rossa Romagna, ad approfittare di chi in platea chiede lumi, sulle decine di fondazioni in mano ai suoi cugini politici, per sentenziare: «Il Partito democratico è un soggetto giuridicamente nuovo e non ha ereditato né attivi, né passivi. Ci sono fondazioni Ds con immobili e credo che, al netto dei debiti pagati, tutto il patrimonio e tutte le risorse debbano andare a finire al Pd, che abbiamo fatto insieme». Insieme, dunque, sottolinea l’ex Dl, convinto che non ci sia «ragione giuridica né politica perché ciò non accada».

Sarà. Intanto, però, seduto accanto alla tanto young macchina di voti Debora Serracchiani, ma poco democrat quando dice di voler spedire i dissidenti, chi non segue cioè la linea ufficiale del capo, ad «attaccare manifesti sui muri», Franceschini assesta un colpo preciso. Diretto al principale antagonista del suo stesso schieramento, tanto per parafrasare Walter Veltroni: ovvero, Pierluigi Bersani. Dalle cui parti, almeno per il momento, nessuno osa replicare alla querelle pecuniaria.

«Si tratta di un tema aperto e non mi sembra scandaloso sollevare la questione - commenta invece Sandro Gozi, prodiano della prima ora e adesso sostenitore di Ignazio Marino, il chirurgo terzo incomodo nella battaglia per la futura leadership -. Detto questo, penso che Franceschini abbia parlato da segretario ma anche da candidato, buttando la palla dall’altra parte, verso Bersani. A questo punto, sarebbe interessante sapere cosa ne pensi» l’ex ministro diessino.
Secondo Pierluigi Mantini, un tempo nel comitato di tesoreria Pd, passato da fine marzo nella squadra dei centristi, sarebbe utile sapere invece cosa ne pensi Piero Fassino. Già, proprio lui, l’attuale coordinatore della mozione franceschiniana, anni fa segretario dei Ds, che pensò bene a inizio gennaio di apostrofarlo, si fa per dire, in pieno Transatlantico e a microfoni di Radio radicale aperti («hai detto solo cazz..., mi sono rotto i c...»), perché reo di essersi lamentato con Libero, tra le tante cose, che molti circoli del Pd pagano l’affitto ai Ds. Seguì un botta e risposta di smentite. «Il nuovo partito alimenta il vecchio», ribadisce però adesso il deputato Udc, che premette: «È interesse di tutti che vi siano chiarezza e trasparenza sugli assetti proprietari e i nodi politici reali. Ma non voglio rivangare vecchie polemiche, visto che me ne sono pure andato da quel partito». Poi, però, aggiunge: «Ho accettato le scuse, ma devo mettere a verbale che venni aggredito per aver detto che vi era un ruolo troppo organizzato dei Ds, con le sue fondazioni, mentre adesso Fassino non dice nulla, nonostante Franceschini abbia affermato che è ora di finirla. Insomma, quando ne parlavo io, era un tabù. Comunque, spero che non se lo mangi...». Non avverrà. Fassino si fa sentire solo per smentire il «fantasma» di una scissione, di un ipotetico divorzio tra i coniugi finiti sotto lo stesso tetto. E per invitare tutti a stare «un po’ calmini».

Ma «il problema patrimoniale rimane», riconosce un esponente cattolico di lungo corso, orfano della guida di Francesco Rutelli. Quello che, per Rosy Bindi, farebbe bene a preparare i bagagli, se non si sentisse più integrato nel gruppo. Ma questa è un’altra storia, una delle tante.

Come la sorta di catena di Sant’Antonio sui «nostalgici» ammalati di «berlusconite», avviata da Beppe Fioroni, a cui s’iscrivono per replicare a vicenda Livia Turco e Giorgio Merlo, tanto per citare il filone polemico di ieri. Ma «la vera paura», confida sconsolato un ex sottosegretario, «è che continui così fino ad ottobre».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica