RomaSono il Bello, il Brutto e il Cattivo. I tre leader provvisori di un centro che aspetta con ansia la candidatura di Mario Monti come il messia capace di risollevarlo dalla morta gora dell'under 10 (inteso come risultato elettorale) in cui si è impantanato negli ultimi tempi. Pier Ferdinando Casini (il Bello), Andrea Riccardi (il Brutto) e Luca Cordero di Montezemolo (il Cattivo) nel frattempo in una riunione svoltasi venerdì sera hanno iniziato a pensare alla raccolta di firme per la lista Monti che dovrebbe federarli.
Anche se già ora sono molte le cose che dividono i tre. Soprattutto, il primo dagli altri due.
Pier Ferdinando Casini non ha nessuna intenzione di rinunciare al brand Udc; nei suoi piani c'è un semplice apparentamento con Montezemolo e Riccardi. La partita di Casini è assai delicata: il filomontiano per eccellenza nell'ultimo anno di governo tecnico è stato lui, ma ciò non sembra finora avergli giovato granché in termini di consensi, rimasti inchiodati attorno al 5 per cento, e ora che è vicino l'incasso dei dividendi dell'investimento nel governo tecnico Pierferdy teme che una grande alleanza di tutto il polo moderato lo releghi di nuovo in una posizione trascurabile. Per questo in un'intervista al Corriere della Sera traccia con cura i confini dei territori politici: «La ricetta del presidente del consiglio è incompatibile da quella del Cavaliere». Insomma: caro Silvio, giù le mani da Monti. Quanto al Pd, «tutti sanno che stimo Bersani», precisa Casini, che però è infastidito da quella che definisce «una vecchia tendenza del passato: si parla di incontro tra progressisti e moderati ma si vuole un centro piccolo, che non dia fastidio e magari disponibile a fare sconti programmatici in cambio di qualche poltrona».
Nei piani di Casini c'è anche il recupero della quarta zampa zoppa del centro, quel Gianfranco Fini che è sempre più marginale nel dibattito politico, anche perché il suo passato postfascista gli rende decisamente scomodo l'abito di centrista. Casini però non vorrebbe disperdere il tesoretto di voti di Fli, pochi ma pur sempre utili.
«Troppi dimenticano che senza di lui avremmo ancora Berlusconi», dice Casini al Corriere, appuntando sul petto del presidente della Camera una medaglia che agli occhi di qualcuno conserva un po' di lucentezza.
Chi invece non vuole nemmeno sentire parlare di Fini è Luca Cordero di Montezemolo, il secondo (in ordine meramente alfabetico) capo del centro. Lui teme, e non del tutto a torto, che la presenza di Fini nel rassemblement centrista renda se non impossibile assai arduo pescare tra i delusi del Pdl, per i quali Fini rappresenta tuttora un tabù. Per la verità il presidente della Ferrari per ragioni di dna non vede di buon occhio nemmeno il dialogo con il centrosinistra. E Riccardi? Le sue quotazioni, nel borsino del centro, si sono impennate nelle ultime settimane.
Molto vicino a Montezemolo, il ministro dell'Integrazione rispetto a questi sembra più disposto a un dialogo con i democratici («dice la Bibbia, c'è un tempo per ogni cosa», risponde curiale a Repubblica), mentre chiude la porta al Pdl: «Penso che Berlusconi abbia un suo disegno che non coincide con il nostro».
E poi c'è la variabile impazzita dei possibili transfughi del Pdl, per i quali un centro a denominazione montiana controllata sembrerebbe rappresentare il naturale approdo. Casini ammette di rispettare quelli «che si sono dissociati in questi giorni come Frattini, Pisanu e Mantovano, votando la fiducia a Monti in dissenso con il Pdl» e quanti «di fronte alle ennesime piroette, manifestano un disagio profondo e reale».
Riccardi è più perplesso: «Da ministro dell'Integrazione non mi muoverei mai per l'esclusione» ma alcuni di essi «non si sono mai veramente riconosciuti nel progetto di Monti, anzi lo hanno contrastato fino a farlo cadere. Come farebbero a sentirsene parte?».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.