Quando la scorsa estate il presidente del Consiglio Mario Monti presentò il piano di riordino delle Province che prevedeva l'accorpamento di 35 enti delle Regioni a statuto ordinario, per un risparmio ipotizzato di 500 milioni di euro all'anno, più di un leghista storse il naso. «Sui risparmi prodotti da questo provvedimento, un freschissimo studio della Bocconi spiega che i costi complessivi della politica di tutte le province possono essere quantificate in 122 milioni di euro», tuonò Angelo De Biasio, presidente leghista del consiglio di Monza Brianza.
Alla vigilia della tornata elettorale, però, la Lega sembra aver imboccato una strada differente. Come anticipato ieri dal Gazzettino, tra le pieghe delle undici pagine che compongono il programma elettorale del Carroccio c'è un punto in netta controtendenza con le posizioni padane fino ad oggi esibite. «Abolizione delle Province tramite modifica costituzionale», recita infatti un punto del primo capitolo «Istituzioni adeguate e moderne favoriscono lo sviluppo del paese». Ma non tutti i leghisti sembrano aver accolto con favore l'accelerazione imposta dal segretario Roberto Maroni, soprattutto al Nordest, terra di caccia preferita dal Carroccio, dove i padani guidano i consigli provinciali di Venezia, Udine e Treviso (in tutto sono dieci le province targate Lega).
E proprio Leonardo Muraro, presidente della provincia di Treviso e coordinatore Upi delle sette province venete, è il più scettico: «Non sono le idee che il movimento porta avanti e non era questa la nostra visione del federalismo».
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