Nessuno sconto per Tanzi: 18 anni all’ex «re del latte»

Nessuno sconto per Tanzi: 18 anni all’ex «re del latte»

Diciassette anni di carcere per un uomo di settantaquattro equivalgono grossomodo all’ergastolo. Così, senza bisogno di ricorrere a quelle sentenze un po’ surreali a base di secoli con cui i tribunali americani colpivano i maghi della new economy, anche la giustizia italiana ha la sua condanna esemplare: Calisto Tanzi è stato condannato ieri dalla Corte d’appello di Bologna a diciassette anni e dieci mesi di carcere per bancarotta fraudolenta. L’atto di contrizione un po’ goffo e molto tardivo con cui all’ultima udienza Tanzi spiegò ai giudici di sentirsi addolorato per le conseguenze dei suoi imbrogli non ha commosso i giudici. Ora manca solo la Cassazione, poi la sentenza sarà definitiva. E andrà ad aggiungersi agli otto anni per aggiotaggio che Tanzi ha iniziato a scontare il 5 maggio dello scorso anno.
Quel giorno, quando la Guardia di finanza andò a prelevarlo nella sua villa per portarlo in carcere, era opinione comune che l’inventore di Parmalat lo avrebbe visto il sole a scacchi solo per poco. Tanzi aveva già compiuto i settant’anni, e sembrava destinato a usufruire della norma che apre agli anziani la possibilità di scontare la pena agli arresti domiciliari. Ma si tratta per l'appunto di una possibilità - anche se ampiamente applicata - e non di un diritto inalienabile. E Tanzi lo ha scoperto sulla sua pelle quando il tribunale di sorveglianza di Bologna ha respinto la sua domanda di arresti domiciliari, lasciandolo a svernare nel carcere di Parma, cupo casermone ai margini della città che per vent’anni lo vide signore indiscusso e riverito, il Cavaliere bianco che scorrazzava in elicottero politici ed ecclesiastici, che finanziava partiti e ministri, che faceva grande la squadra di calcio, che riceveva i magistrati in salotto, che piazzava figli, generi e nipoti qua e là nei consigli d’amministrazione di holding e di controllate.
Oggi quella sorta di feudatario è un uomo vecchio e malconcio, che ha dovuto ormai prendere atto che il carcere rischia di essere davvero il suo ultimo domicilio, e che si sta lasciando cadere un po’ alla volta senza peraltro impietosire praticamente nessuno. Da poco lo hanno trasferito in un letto d’ospedale, dopo le immagini crude del suo arrivo in aula per una delle ultime udienze, barcollante, quasi diafano e col sondino nasogastrico. Ma appena starà meglio lo riporteranno dietro le sbarre.
Ieri la Corte d’appello di Bologna concede a Fausto Tonna, il suo ex braccio destro, le attenuanti generiche e così gli riconosce un robusto sconto di pena: dieci anni invece di quattordici. Per Tanzi invece c’è una limatura quasi inconsistente: gli tolgono due mesi di prigione perché nel frattempo si è prescritta una delle accuse, la calunnia a Lehman Brothers, la banca d’affari statunitense (a sua volta poi finita in bancarotta) che Tanzi nel 2003 accusò con una denuncia di sordide manovre sui titoli di Parmalat.
Anche stavolta i giudici rifiutano la concessione a Tanzi di qualunque attenuante.

É l’onda lunga non solo dei reati commessi ma anche del comportamento successivo al crac, quando il Cavaliere si è ostinato a giurare al mondo che non esisteva alcun tesoro nascosto di Parmalat e di essere quasi nullatenente: salvo venire catastroficamente smentito dal ritrovamento nelle cantine dell’ex genero di una galleria di quadri degno del Louvre. Il 15 maggio il tribunale di sorveglianza dovrà valutare una nuova richiesta di scontare la pena a casa per motivi di salute: insieme ai certificati medici, i giudici riusciranno a non avere in mente anche i Van Gogh?

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