«Se mi chiedete se sia meglio il voto palese o quello segreto, rispondo che in questi casi (decadenza del senatore Berlusconi, ndr) il voto palese garantisce meglio la trasparenza delle decisioni» dice Luigi Zanda, capogruppo Pd e pontiere con i senatori grillini, arroccati sul voto segreto «anche senza modifica del regolamento» (che in verità lo prevederebbe, se viene richiesto). «Tutti abbiano la dignità di non chiedere il voto segreto» fanno eco i vendoliani di Sel, che esprime il presidente della Giunta. Un accerchiamento per il centrodestra, in minoranza nel «tribunalino» parlamentare che deciderà le sorti del senatore Berlusconi?
In realtà nel Pd non tutti i senatori sono sulle posizioni grilline di Zanda. «Non sono affatto d'accordo col mio capogruppo - dice il senatore Luigi Manconi al Mattino -. Il regolamento si può anche cambiare, ma non alla vigilia del voto su Berlusconi. Questa è la prova che il Pd non riesce a liberarsi dell'ossessione Berlusconi. Ho anche molti dubbi nel merito, perchè quando si tratta della sorte di un parlamentare, l'assemblea deve esprimersi con il voto segreto. È uno dei fondamenti del parlamentarismo democratico e del costituzionalismo moderno».
In effetti la campagna di Grillo (che ha proposto di introdurre il vincolo di mandato per i parlamentari, espressamente escluso dalla Costituzione a tutela della democrazia) e del Pd più antiberlusconiano, ha un precedente storico, come ricordano gli atti parlamentari della Camera. Il voto segreto c'è già nello Statuto Albertino del 1848, che lo rende obbligatorio «per la votazione del complesso di una legge e per ciò che concerne al personale», cioè appunto le libertà personali di un cittadino, in questo caso parlamentare. E il voto segreto resta nella prassi del Parlamento del Regno D'Italia, che lo recepisce nei regolamenti delle Camere «per tutelare - scrive Angelo Summa nel dossier Il voto segreto alla Camera dei deputati - proteggere e garantire la libertà e l'autonomia dei parlamentari di fronte ad eventuali controlli e coartazioni del Re o del governo». Finchè il voto segreto viene abolito, per le stesse ragioni di trasparenza invocate dall'asse M5S-Pd-Sel sulla decadenza di Silvio Berlusconi. Quando? Nel 1939, cioè dal governo fascista, con la legge istitutiva della Camera dei fasci e delle corporazioni, che tra le altre cose stabilisce appunto che «le votazioni (in Parlamento, ndr) hanno luogo sempre in modo palese». In realtà già l'anno prima, non con una legge ma con una modifica del regolamento della Camera, il fascismo si era liberato di quell'inutile presidio delle libertà parlamentari. Nel dicembre del '38 la Camera fascista approva un nuovo articolo che recita: «La votazione, sia nell'Assemblea plenaria, sia nelle Commissioni, avviene sempre in modo palese». Il Senato fascista si adeguerà due settimane dopo. Eppure il regime aveva sperimentato molto prima, nel 1926, la «pericolosità» del voto segreto in Parlamento. Quando il Parlamento votò la decadenza (anche lì...) dei deputati «aventianiani», cioè di quel che restava dell'opposizione al partito fascista dopo l'omicidio Matteotti. Grazie al voto segreto ci furono dieci voti contrari alla cacciata dal Parlamento dell'opposizione. Che si ridussero a zero nella successiva votazione a scrutinio palese.
Nell'Italia repubblicana, ricordano gli storici, fino alla riforma del 1988 il voto segreto era la regola, e quello palese l'eccezione. Poi si invertì il rapporto, per evitare accordi sottobanco, limitando il ricorso al voto segreto senza però mai metterlo in discussione per gli scrutini sulle persone. E proprio qui sta il cavillo su cui puntano i giuristi del Pd. "Ci sono due letture possibili - spiega Nicolò Zanon, docente di Diritto costituzionale a Milano -. Una per cui la decadenza attiene alla persona del parlamentare e quindi il voto dev'essere segreto. La seconda, invece, per cui la decadenza riguarda la regolare composizione dell'assemblea e quindi si può votare in modo palese.
Però resta il fatto che il regolamento del Senato prevede in questi casi il voto segreto, e voler cambiare le regole del gioco mentre il gioco è in corso mi pare uno sfregio istituzionale molto duro, fatto da partiti deboli che temono di non controllare i loro parlamentari».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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