In nome del popolo italiano

di Giovanni Terzi

Per molti giorni il telefono della casa di Via Caravaggio 78 a Napoli dove vivevano Gemma Cenname e il marito Domenico Santangelo suona a vuoto.
A tentare di mettersi in contatto con la famiglia Santangelo il nipote, l'avvocato napoletano Mario Zarrelli, che dopo numerosi e ripetuti tentativi decise di andare a denunciare in Questura l'apparente scomparsa della famiglia.
La sera dell'8 Novembre del 1975 Mario Zarrelli, assieme ad alcuni agenti di pubblica sicurezza e ai vigili del fuoco, decise di recarsi nell'appartamento di via Caravaggio per capire ciò che stava accadendo.
Forzando la serratura, il drappello di persone riuscì a entrare nell'appartamento e, da subito, l'immagine che si presentò fu terrificante; ampie chiazze di sangue ovunque e un terribile odore di corpi in avanzato stato di decomposizione.
In bagno, dentro la vasca, i corpi martoriati e privi di vita di Domenico Santangelo e Gemma Cenname; sotto di loro, il cadavere del cagnolino Dick di proprietà della figlia, Angela, anche lei cadavere e avvolta in una coperta nella poco distante camera matrimoniale.
Per i telegiornali e l'informazione tutta si era compiuta la strage di via Caravaggio a Napoli.
Gli approfondimenti della scientifica datarono il giorno della strage il 31 ottobre del 1975 e in tutto il Paese ci fu una vera e propria caccia al mostro.
Fece molto scalpore nell'opinione pubblica quell'efferato delitto tanto che la sera del 10 novembre si presentò in Questura Eugenio Laudicino, un sarto residente in via Caravaggio 118 poco distante dal luogo del delitto.
Laudicino era convinto di aver visto la macchina della vittima, una Lancia Fulvia Berlina, arrivare all'1,30 del mattino da via Caravaggio direzione Fuorigrotta a così grande velocità che lo stesso, a bordo della sua 500, non poté fare altro che salire con le ruote sul marciapiede per evitare di essere investito.
«Pensai a un ubriaco» disse Laudicino agli inquirenti che lo interrogarono «cercai di scorgere il numero di targa ma riuscii a vedere solo la figura di un uomo con molti capelli in testa e ben piazzato».
Gli inquirenti continuarono a cercare testimonianze e moventi per arrivare a una soluzione di quella terribile strage.
Così iniziarono a emergere i pessimi rapporti tra Mario e Domenico Zarrelli, nipoti della vittima, la signora Gemma.
Domenico Zarrelli pareva fosse un giovane un po' scapestrato, studente fuoricorso in Giurisprudenza (particolare sempre rilevato dalla stampa in modo suggestivo) ed amante delle belle donne, delle belle auto e della bella vita.
Domenico aveva sempre bisogno di soldi tanto che la zia assassinata aveva preso una cassetta di sicurezza nel Banco di Napoli per mettere al sicuro risparmi e preziosi.
Tutte queste preziose informazioni furono avvalorate da un generale in pensione, Bruno De Lillo, amico della famiglia Santangelo.
A questi indizi si deve aggiungere una denuncia del 1968 della signora Gemma, prima fatta e poi ritirata, in cui accusa il nipote Domenico Zarrelli di lesioni e percosse.
Così il 29 marzo del 1976 su richiesta del Pubblico Ministero il Giudice istruttore emette un ordine di cattura nei confronti di Domenico Zarrelli con l'accusa di essere l'autore del triplice omicidio.
Per Domenico Zarrelli si apre un nuovo tragico capitolo della propria vita.
Deve dimostrare la propria innocenza.
Ha un alibi, quella sera era in compagnia della sua fidanzata Sandra Maria Thompson, una bella ragazza giamaicana a vedere il film «Amici miei» al cinema Abadir in via Giovanni Paisiello e rincasò tardi nella casa della ragazza in via Mancini.
Durante il processo il Laudicino disse che non era poi così certo della somiglianza con Domenico Zarrelli; la scientifica riportò che le impronte delle scarpe trovate sul pavimento erano del numero 42 mentre il presunto colpevole indossa il numero 45.
Inoltre nell'appartamento delle vittime furono rinvenuti mozziconi di sigarette Gauloise mentre lo Zarrelli fumava le HB.
Tutto questo non servì a nulla e Domenico Zarrelli fu condannato, il 9 maggio del 1978, all'ergastolo.
Intanto Domenico Zarrelli, quello che tutti i giornali avevano tacciato da studente fuoricorso e bighellone, il 6 dicembre 1979, dal carcere, si laurea in Giurisprudenza.
Arriva il processo d'appello e, per fortuna, i Giudici si accorgono e si convincono che il processo è stato indiziario e che non si può affermare con assoluta certezza che Domenico Zarrelli sia realmente l'omicida.
Il 6 marzo del 1981 Zarrelli è messo in libertà.
Sono passati cinque anni dall'arresto ma la tortura fisica e psichica per Domenico Zarrelli non sì è ancora compiuta completamente.
Infatti, la Cassazione annulla la sentenza d'appello rinviandola per un nuovo processo alla Corte d'Assise d'Appello di Potenza e così, nel luglio del 1983 Zarrelli fu nuovamente arrestato.
Per sei mesi Domenico Zarrelli resterà ai domiciliari fin quando il 9 gennaio del 1984 la Corte d'Assise d'appello di Potenza si pronuncerà per l'assoluzione.
Mario, il fratello con cui si diceva non andasse d'accordo, scrisse sia al Presidente della Repubblica Cossiga che al Ministro Martinazzoli un ricorso per procedere civilmente contro quei magistrati che rovinarono la vita al fratello Domenico senza riuscire a fare emergere la verità sull'efferato delitto di via Caravaggio.
Anche Domenico invocò gli articoli 55 e 56 del codice di procedura civile secondo i quali il giudice "è civilmente responsabile quando nell'esercizio delle sue funzioni è imputabile di dolo, frode o concussione".
A nulla servì e nulla accadde.


Domenico Zarrelli dopo anni di sofferenza e ingiusta detenzione riacquistò quella libertà che impropriamente gli fu negata, ma ancora oggi la strage di via Caravaggio non ha un responsabile ma di questo purtroppo siamo abituati.
Twitter @terzigio

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