È deviante collegare quello che è successo a Corigliano Calabro con qualsiasi evento della vita comune, quotidiana, della gente normale. Non è possibile prendere a riferimento - per qualcosa che ci riguardi - la violenza di una bestia feroce che solo incidentalmente è un ragazzo di 17 anni: il quale brucia viva, dopo averla accoltellata, la ragazza che diceva di amare ma che aveva osato dirgli un no, e che per quel no non poteva essere perdonata, anzi doveva morire (...)
(...) nel fuoco, come si faceva con le streghe e gli eretici, per purificarli dai loro contatti con il demonio. Di certo quell'essere abnorme travestito da ragazzo non ha pensato alla purificazione inquisitoria, mentre andava a cercare la tanica, la benzina, mentre tornava baldanzoso, l'accendino stretto nell'altra mano, mentre cospargeva del liquido puzzolente la «puttana» (così avrà pensato) che lo supplicava invano di non farlo, chi sa con quanta paura, mentre faceva scoccare la scintilla e si godeva le urla disumane di dolore e terrore che uscivano dalla fiamma. Non ha pensato alla purificazione né alle fiamme infernali perché il suo unico sentire era punire nel modo più atroce quella ragazzina che aveva osato dirgli di no. Si scriveranno tante pagine e si useranno tante ore televisive per cercare di capire, di spiegare, e saranno tutte parole inutili, perché si tratta evidentemente di una patologia criminale all'ultimo stadio, e l'unica consolazione può essere che sia scoppiata presto, prima che quel delinquente spargesse intorno a sé chi sa quante altre sofferenze. Eppure, una considerazione se ne può trarre, semplice semplice, la più semplice e ovvia. In tutto questo grande - e necessario - parlare della violenza sulle donne, e dei modi di limitarla, se non estirparla, il primo consiglio che darei a una figlia è che il minimo segnale di violenza da parte di un uomo deve essere sufficiente ad allontanarsene. Uno schiaffo è già inimmaginabile, è già troppo, dovrebbe bastare la violenza implicita negli insulti ripetuti e sempre più gravi, l'urlare per stabilire la sopraffazione della propria maggiore forza, al momento soltanto vocale, una spinta. Accettare la piccola violenza di qualcuno, significa dargli l'autorizzazione e compierne una maggiore, e poi una ancora più grave, perché il violento si incoraggia dell'inerzia altrui e si rafforza nella convinzione che non soltanto può, ma pure deve. Vale anche nei rapporti fra donna e donna, fra maschio e maschio, fra genitori e figli, figurarsi in quello fra «sesso forte e sesso debole», proprio nel periodo storico in cui quello «forte» non è più tanto sicuro di esserlo, e quello «debole» spesso non ha la coscienza della propria forza, o ci rinuncia per compiacere l'amato, per lasciarlo nella sua convinzione di virilità, per amore. Ma, senza andare troppo per psicologismi e sociologismi, dovrebbe essere sufficiente la saggezza delle nonne: che dicevano non c'è amore senza rispetto. Interrogatorio dopo interrogatorio, rivelazione dopo rivelazione, sapremo presto quanti schiaffi, quanti insulti e quante urla ha subito quella povera adolescente prima di essere bruciata viva: perché gli schiaffi ormai non bastavano più e meritava ben altro.
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segue a pagina 16
di Giordano Bruno Guerri
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