Pollari: "Non voglio chiedere la grazia Dimostrerò la mia innocenza"

Dopo il perdono concesso da Napolitano al colonnello americano Joseph Romano, Nicolò Pollari condannato a 10 anni si difende dalle accuse sul caso Abu Omar

Pollari: "Non voglio chiedere la grazia Dimostrerò la mia innocenza"

«Ma davvero c'è qualcuno - dice Nicolò Pollari - che pensa che questa vicenda riguardi me, la mia persona fisica, e non le istituzioni di questo paese? Davvero si pensa che io, che sono un innocente, debba sperare nella grazia presidenziale per non finire in carcere? Non sono io a dovermi preoccupare. Io ho eseguito un ordine: quello di tacere. E sono pronto a eseguire l'ordine di parlare, se mi verrà impartito».
Sono passati tre giorni da quando il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha fato irruzione sulla scena del caso Abu Omar. E lo ha fatto nel modo più esplicito che si possa immaginare, confermando quanta rilevanza la vicenda del sequestro dell'imam estremista abbia assunto nei rapporti tra Italia e Stati Uniti sul fronte dell'alleanza militare e di intelligence. La grazia concessa al colonnello Joseph Romano III, comandante della base Usa di Aviano, condannato in via definitiva per concorso in sequestro di persona, sconfessa di fatto l'inchiesta della magistratura milanese. E apre nuovi scenari per i nostri 007 anch'essi finiti sotto processo: con in testa il generale Niccolò Pollari, ex direttore del Sismi, condannato a dieci anni di carcere.
Generale Pollari, la grazia concessa al colonnello Romano è una buona notizia anche per lei?
«Una grazia è sempre una buona notizia. Come si fa a non essere umanamente felici se a una persona viene risparmiata una sofferenza? E credo che si debba avere il massimo rispetto per la decisione del capo dello Stato».
Perché Napolitano lo ha fatto?
«Lo ha fatto nell'interesse dell'Italia. Ma se lei mi chiede se spero di cavarmela anche io allo stesso modo, le dico che a un innocente non interessa la grazia ma il riconoscimento della sua innocenza. Io sono innocente e sono stato condannato senza potermi difendere».
La Corte d'appello che l'ha condannata a dieci anni l'accusa di avere permesso che la Cia violasse la sovranità italiana, sequestrando l'imam a Milano. Io le chiedo: sapevate cosa facevano gli americani? Se sì, perché non lo avete impedito? Se no, che servizio segreto eravate?
«Abu Omar era sotto attenzione di organi istituzionali di questo paese (la Digos di Milano, ndr). Non è compito dei servizi di sicurezza controllare l'attività degli altri organi dello Stato. E poi, parlando in astratto: se ci viene richiesta collaborazione per una operazione, e noi rifiutiamo, diventiamo forse responsabili a vita della incolumità del bersaglio dell'operazione?».
La Corte che l'ha condannata dice in sostanza: poiché un sequestro non rientra tra i compiti del Sismi, il vostro ruolo non può essere coperto dal segreto di Stato.
«Ma il segreto di Stato non l'ho certo stabilito io! Per tre volte, tre governi di orientamento diverso uno dall'altro, hanno stabilito che su questa vicenda c'è il segreto di Stato. Nell'aula del processo d'appello in cui sono stato condannato, ho letto la lettera del governo che mi impegnava al silenzio. E se l'unica cosa su cui questi tre governi si sono trovati d'accordo è il segreto sulla vicenda Abu Omar, sarà il caso di domandarsi se di mezzo non ci sia davvero la sicurezza nazionale».
Secondo i giudici lei e gli altri imputati italiani avete interpretato in modo un po' estensivo il segreto.
«Davvero? E allora perché prima ancora della sentenza il presidente del Consiglio ha deciso di sollevare nuovamente un conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale, perché sia ribadito che certi atti non possono essere utilizzati e nemmeno detenuti dalla magistratura ordinaria?».


Ma il governo, generale, sta per cambiare. E se il nuovo governo stabilisse che invece sul caso Abu Omar il segreto non c'è più?
«Io ne sarei lieto, perché uscirei dal processo in pochi minuti. Ma per altri si aprirebbe una situazione imbarazzante».

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