RomaNessun passo indietro dellaccusa al processo per la morte di Simonetta Cesaroni dopo la perizia super partes che ha fatto vacillare i suoi capisaldi. Il sostituto procuratore generale Vittorio Cozzella insiste sulla colpevolezza di Raniero Busco, lex fidanzato della giovane impiegata uccisa in via Poma, a Roma, il 7 agosto del 90, e chiede la conferma della condanna di primo grado a 24 anni.
E questo nonostante il perito nominato dalla Corte dAssise dAppello abbia escluso che la lesione individuata sul seno della vittima possa essere ricondotta ad un morso (per la Procura di Busco). Anzi sulle conclusioni dellesperto, che avevano autorizzato a pensare a unimminente assoluzione dellimputato, il pg spara a zero sostenendo di aver provato «sconcerto e imbarazzo» nellascoltarle in aula. Per Cozzella lassassinio è Busco («un soggetto violento»).
«A pesare su di lui - sostiene il pg - ci sono lassenza di un alibi, il suo dna sugli indumenti della vittima e quel morso sul seno, contestuale al delitto, che anche i consulenti della difesa, in primo grado, non hanno potuto smentire. Altro che strizzatura di dita». Cozzella glissa sul Dna attribuibile a tre diversi uomini riscontrato in via Poma dai periti della Corte: «Si tratta di artefatti o di dna danneggiato dagli anni». In subordine alla condanna il rappresentante dellaccusa chiede la riapertura dellistruttoria con laffidamento di una nuova perizia «che sia veramente degna di tal nome, senza risposte insultanti, irritanti o prive di fondamento».
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