Il caos in cui è sprofondato ieri il Pd, con l'Assemblea nazionale solennemente convocata a Roma e poi finita nel nulla perché - forse - non c'erano i numeri per votare legalmente avrebbe dunque una ratio, e dei mandanti. Il fronte anti-Renzi, chi per mantenere il controllo del partito e delle liste, chi per mantenere la poltrona governativa, ha sabotato l'intesa su regole e data del congresso per allungarne i tempi, allontanando l'ascesa del sindaco e scavallando il 2013 per arrivare al prossimo anno. Più vicino possibile a quella data, in giugno, che Letta vede come la messa in sicurezza del suo gabinetto, perché con l'Italia alla guida della Ue per un semestre nessuno può permettersi di far saltare il governo. E il gioco, evidentemente, valeva la candela se si è accettato di far fare al Pd «l'ennesima clamorosa figuraccia», come dice Nicola Latorre. Per di più dopo il film visto in mattinata, che aveva risollevato gli animi Pd: la serie di interventi efficaci e applauditissimi dei candidati segretari, l'abbraccio tra Renzi e Cuperlo che sembrava segnare l'avvento di un Pd rinnovato e proiettato verso il futuro.
La battaglia contro la modifica dell'articolo 3 dello Statuto, quello che prevede l'identità tra segretario e candidato premier, la hanno fatta, e vinta, Enrico Morando e Rosy Bindi. Spiegando all'assemblea, tra gli applausi, che in tutti i paesi democratici il leader di un partito è candidato premier, e che cambiare quella norma è «snaturare l'impianto stesso del Pd». Dopo i loro interventi, però, è stato chiaro che difficilmente si sarebbe raggiunta la maggioranza necessaria a cambiare lo Statuto, ossia i due terzi dei presenti: bindiani, civatiani e veltroniani erano pronti a votare per mantenere l'identità segretario-premier. La loro richiesta di votare le modifiche statutarie per parti separate, però, è caduta nel vuoto. Così come la proposta, nella commissione sulle regole riconvocata in extremis per uscire dall'impasse, di togliere dal tavolo l'articolo su premier e segretario e approvare solo le altre modifiche che dovrebbero snellire il processo congressuale. Lì il niet è stato pronunciato dall'emissario lettiano, alimentando il sospetto che ex segretario e attuale premier giochino di sponda per boicottare le assise. «L'8 dicembre sarà difficile farcela, se si rinvia di qualche settimana nessuno farà drammi»; spiegavano i lettiani Boccia e Sanna. Stesso refrain per i bersaniani, che un secondo dopo lo stop alle modifiche dello Statuto erano già in giro a spiegare: «Impossibile rispettare quella data a statuto vigente».
«Se qualcuno non vuol fare il congresso lo dica, senza usare come alibi per far saltare il banco la mia battaglia a viso aperto per difendere quella regola», avverte però Rosy Bindi. E Morando: «Abbiamo fatto le parlamentarie tra Natale e Capodanno, e ora qualcuno vuole spiegarci che non si può fare il congresso da qui all'8 dicembre? Non ci provino».
Contro l'asse Bersani-Letta, comunque, si salda l'asse del «rinnovamento generazionale» tra Cuperlo e Renzi, decisi ad ottenere il rispetto delle scadenze e ad andare al congresso per smontare le vecchie correnti.
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