Roma, lo zoo salva gli oranghi: "Noi non siamo Copenaghen"

Il Bioparco si trasforma per sistemare al meglio gli esemplari in difficoltà mentre in Danimarca sterminano gli animali "scomodi" per la struttura

Roma, lo zoo salva gli oranghi: "Noi non siamo Copenaghen"

Non è passato neppure un anno da quando sul Giornale pubblicai la mia ennesima, feroce invettiva, per le condizioni in cui erano tenute Petronilla, Martina e Zoe, i tre oranghi del Bioparco di Roma. E orango, al contrario di quanto credono Calderoli e la Kyenge, non è un insulto, ma una delle cinque grandi scimmie antropomorfe: le altre quattro, per intenderci, sono il gorilla, lo scimpanzé, il bonobo e l'uomo, cioè noi. Insomma, da quindici anni queste tre ragazze pelose, bellissime e dolcissime (Petronilla è la mamma, Martina e Zoe le due figlie) non vedevano la luce del sole, prigioniere in un bunker buio di vetro e cemento, e a differenza delle Pussy Riot senza essersi neppure opposte a Putin. Nel frattempo si sono susseguite le direzioni del Bioparco senza che nessuno muovesse un dito, hanno usato i pollici opponibili solo per prendersi lo stipendio. Per la verità, quando era sindaco Walter Veltroni, al Bioparco qualcosa si fece: una specie di casa di riposo o centro ricreativo per anziani. Per anziani umani, figuriamoci, gli oranghi niente, tanto non votano, e se votassero non avrebbero votato Veltroni, né nessun altro dei politici italiani, credo. Mica sono scemi. Finché non è arrivato Federico Coccìa, l'attuale presidente del Bioparco. Cinquantenne, volto televisivo di molte trasmissioni animaliste, sorriso da piacione e con la bellezza vintage di Nino Castelnuovo che salta la staccionata dell'Olio Cuore, è noto alle recenti cronache mondane per essere il veterinario di Dudù, il barboncino di Silvio Berlusconi.

Tuttavia, dopo aver letto il mio ultimo appello, a differenza dei predecessori, Coccìa mi contattò per dirmi che, pur essendosi appena insediato, se ne stava già occupando, era scandaloso. Inoltre, siccome andavo spesso a trovare la mia amante scimpanzé Edy, mi fece avere anche un pass fisso. Amico degli animali e degli scrittori. «Così, oltre a venire a trovare la tua amica, controlli anche la situazione degli oranghi». Sì, vabbè, pensai: parole parole parole. Invece Coccìa, bisogna ammettere, zitto zitto ha fatto la rivoluzione: ha aperto un museo dei crimini ambientali, ha aperto un centro polifunzionale, ha aperto un'area per le farfalle, e soprattutto ha aperto il cielo sopra le teste di Petronilla, Martina e Zoe, uno splendido habitat-foresta di quattrocento metri quadrati. «Guardali», mi dice Federico, «non ridono perché gli orango hanno sempre la stessa faccia, ma si vede che sono felici da come si muovono». Coccìa non ha smosso mari e monti, ha fatto di più: ha smosso la terrificante burocrazia italiana, riprendendosi a forza l'area finita sotto la pertinenza di un kafkiano X Dipartimento. «Capisci? Era un problema di pertinenza». «Ed era così difficile riprendersela, questa pertinenza?» gli chiedo. «No, bastava volerlo fare. Io non riuscivo neppure a passarci, lì davanti agli oranghi, mi veniva l'angoscia, non so come quelli prima di me abbiano potuto sopportare una situazione simile». E poi aggiunge di volersi togliere un sassolino dalla scarpa, in realtà un sasso scagliato sulla testa del direttore dello zoo di Copenhagen: «Petronilla, Martina e Zoe, ti faccio notare, sono degli ibridi, come la giraffa Marius. Non so se mi spiego». Se non si è spiegato ve lo spiego io: in Danimarca quegli stronzi le avrebbero uccise, smembrate davanti ai bambini, e date in pasto ai leoni.

Come è successo a Marius. Mentre Coccìa ha lottato per dargli una villa. Un Putin al contrario, altro che semplice veterinario di Dudù. E comunque c'era da immaginarselo: Silvio mica prende il primo veterinario che passa.

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