di Q uesta volta la Repubblica ha superato se stessa. Sabato 25 ha pubblicato la lettera di un giovane omosessuale, tale Davide Tancredi, con un titolo strappalacrime: «Io, gay, a 17 anni chiedo solo di esistere». La lettera ha determinato immediate reazioni. Tutte significative, almeno quattro delle quali vale la pena di commentare. La prima dell'ex ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, che invoca, ex partibus infidelium, più diritti per i gay, con un molto ammirato contropiede, venendo la proposta da un esponente di destra ortodosso e cattolico. Non meno sorprendente è che si allinei su questa posizione un giornalista spesso originale e indipendente come Maurizio Belpietro. Più originale Giuliano Ferrara, che ribalta la questione, sottolineando la doppia morale di Repubblica che compiange e teneramente comprende il minorenne gay, «esibito come un trofeo in prima pagina... come andrebbe rispettato il gioco galante delle giovani donne che vivono liberamente la loro vita in ogni circostanza». E conclude, magistralmente: «L'invenzione retorica di santi dell'eros gay e puttane della seduzione femminile non ha niente di decente e di razionale, per non dire di laico». Ma la reazione più «istituzionale» e più umanamente partecipata è quella di Laura Boldrini: «Caro Davide, questa lettera te l'avrei scritta comunque, anche se non fossi presidente della Camera». Però. La Boldrini fa subito un riferimento a sua figlia. Della lettera del giovane rileva le parti più suggestive («non a tutti è data la fortuna di nascere eterosessuali»; «noi non siamo demoni»; «non c'è nessun orrore in quello che si è, il vero difetto è fingersi e vivere fingendosi diversi») e, magnanima, conclude: «Mi farebbe piacere incontrarti nei prossimi gironi alla Camera». Ecco, con questa chiusura formidabile, la Boldrini ci consente una perfida e diabolica scommessa: questo incontro non avverrà mai. Perché la lettera che ha turbato e commosso Bondi e la Boldrini e indignato Ferrara, è, ad evidenza, un falso. Salvo che non trovino una controfigura omonima e coincidente per età e condizione, Davide Tancredi non esiste. È un'abilissima invenzione giornalistica di Repubblica. E chi ha scritto la lettera ha messo in fila i luoghi comuni del conformismo progressista, dopo le mode dell'outing e l'urgenza a deliberare dei parlamenti, dalla Spagna alla Francia, con l'Italia arretrata perché troppo vicina alla Chiesa romana. Il falsario si tradisce con l'esordio troppo facile, un'apertura da vecchio attore consumato: «Caro Direttore, questa lettera è, forse, la mia unica alternativa al suicidio». Quel «forse» è illuminante, perché il suicidio di Davide sarebbe il gesto simmetrico rispetto a quello «vano» dell'omosessuale vecchio e di destra che si è ucciso a Notre Dame, Dominique Venner. Ecco, plasticamente, il vecchio e il giovane omosessuale contrapposti per opposti valori. Il primo, in difesa del matrimonio tradizionale che, come osserva la lucida e maltrattata Eugenia Roccella, esponente di una destra di destra, e quindi non illuminata, come i laici Bondi e Galan: «Il matrimonio non è un diritto, è una vecchia e gloriosa istituzione umana che non merita di essere distrutta e svuotata di significato». Il pensatore di sinistra che si maschera nel diciassettenne gay, invece, rivendica diritti per i quali era finito in carcere Oscar Wilde. Il furbo intellettuale contemporaneo, mascherato o travestito, gli fa dire: «Io non chiedo che il Parlamento si decida a redigere una legge per i matrimoni gay - non sono così sconsiderato - chiedo solo di essere ascoltato». Fino al sublime: «Un paese che si dice civile non può abbandonare dei pezzi di se». Nessun giovane, se non finto, e per far abboccare la Boldrini, scriverebbe pensieri come questi. Non per caso a rispondergli e a dargli ragione sono ultracinquantenni. Non ci siamo. Il matrimonio non è, per i giovani, né un desiderio né una necessità. Con l'introduzione del divorzio è diventato un rito consumistico. Per lo più s'incontrano persone che sono state sposate e non lo sono più. Ci sarà una ragione? La vera battaglia sarebbe non consentirlo agli omosessuali ma liberarne gli eterosessuali. I giovani possono essere omosessuali o eterosessuali, ma sono soprattutto liberi. Il modello del matrimonio è arcaico, legato a chi crede a una dimensione religiosa. La famiglia, come spiegava il dimenticato Laing, genera incomprensioni e nevrosi. I giovani sanno, per esperienza propria e dei loro genitori, spesso separati, che esistono gli individui, non le coppie. E che non esiste più alta libertà se non dall'altro. Che nel matrimonio è, per definizione, sacrificata. Può pensare di sposarsi chi vuole una famiglia, procreando figli. Convivere per adottarli è una finzione. Il teatro del matrimonio.
Che alcuni omosessuali (non tutti, per fortuna) reclamano per dispetto alla società che li ha per tanto tempo discriminati. L'amore omosessuale - come ogni amore vero - è libero. Quello eterosessuale è condizionato dal matrimonio. Tutti liberi! Altro che tutti sposati.press@vittoriosgarbi.it
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