Taranto - La notte carica d'angoscia, l'alba che annuncia la tensione. E alle 7,30 del mattino il rumore dei badge disattivati che suonano all'impazzata, come una drammatica conferma: gli operai non possono entrare, l'area a freddo dell'Ilva è chiusa e cinquemila dipendenti sono in ferie forzate. Una decisione presa dopo l'ultima svolta giudiziaria con i sei arresti e il sequestro di materiale prodotto nella fabbrica. Il cuore ferito dei lavoratori adesso è qui, nel piazzale della direzione dell'azienda, il più grande impianto siderurgico d'Europa che un tempo garantiva benessere e sicurezza, il gigante dell'acciaio che adesso appare sempre più un traballante gigante d'argilla in procinto crollare su una città intera.
I dipendenti non si rassegnano e decidono di occupare lo stabilimento. Alle otto sono già oltre mille, poi arrivano gli altri: la maggior parte aspetta fuori in attesa di una notizia, qualcosa che alimenti il filo di speranza che con il passare delle ore diventa sempre più sottile. Sui cancelli c'è un grande striscione bianco con le lettere nere: «Senza lavoro niente futuro». La disperazione si mescola alla rabbia. C'è chi sfonda il cordone di vigilanza ed entra nello stabilimento. «Non crediamo più a nessuno», ripetono. Nel tardo pomeriggio dall'azienda fanno sapere che sarà riconosciuto lo stipendio anche ai lavoratori che non hanno ferie da smaltire. In ogni caso gli impianti di Taranto rimarranno chiusi fino alla decisione del tribunale del Riesame sul ricorso presentato contro il sequestro. Nell'attesa, sarà accantonata la procedura di cassa integrazione annunciata per i 1942 operai dell'area a freddo. «Spero in un pronunciamento rapido, entro pochi giorni», dice il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante. I lavoratori tornano a casa. Ma resta la paura. E dietro una calma apparente la città rimane una polveriera. I timori però si allungano da una parte all'altra dell'Italia. La protesta infatti esplode a Genova, dove ieri circa 1500 operai dell'Ilva hanno manifestato con una pala meccanica da 150 quintali, un enorme autospurgo e un camion da due tonnellate: il corteo ha bloccato il casello di Genova Ovest e tutto il ponente della città, poi è rientrato nello stabilimento. Ma è buona parte del Nord a tremare in questo momento: c'è preoccupazione anche per le fabbriche in Piemonte di Racconigi e Novi Ligure. E proprio il sindaco di Novi Ligure, Lorenzo Robbiano, ha scritto una lettera al presidente del Consiglio, Mario Monti: «Qui a rischio mille posti», avverte. In giornata era toccato al ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri avvertire del «notevole rischio per l'ordine pubblico».
Nel frattempo a Taranto le indagini vanno avanti, e puntano lontano, al ministero, alla vecchia Aia (Autorizzazione ambientale integrata) rilasciata, tra le polemiche, ad agosto del 2011. Altre cinque persone sono indagate: tra loro un ispettore della Digos, un sacerdote (segretario dell'ex arcivescovo) e il sindaco Ippazio Stefàno, di Sel, accusato di omissioni in atti di ufficio. La Finanza sta tentando di rintracciare Fabio Riva, vice presidente di Riva Fire, per notificargli un'ordinanza di custodia cautelare in carcere: gli viene contestata anche l'associazione a delinquere. Ma Riva è irreperibile, secondo indiscrezioni sarebbe a Miami.
Intanto, la politica si mobilita. Il caso è stato esaminato nel corso di un incontro al Quirinale tra il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e il premier Monti. «Quello di domani - spiega il ministro dell'Ambiente Corrado Clini - non sarà un incontro interlocutorio, contiamo di uscire con un provvedimento e lavoriamo a un decreto per l'applicazione dell'Aia.
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