Ora Bersani candida Letta per sfilare la «ditta» a Renzi

L'ex segretario rompe il silenzio e sostiene l'establishment sulle regole delle primarie: "Non possiamo scegliere un premier senza far partecipare anche chi è a Palazzo Chigi"

Ora Bersani candida Letta per sfilare la «ditta» a Renzi

Roma - Rompe il silenzio, Pier Luigi Bersani, e sfoga sull'Unità la sua amarezza per «le insinuazioni, o peggio le accuse che mi dipingono come un mestatore», e gli attribuiscono in quota parte (insieme a Enrico Letta, in verità) la responsabilità del frenetico lavorio anti-Renzi che ha portato al caos di sabato scorso, quando è saltata l'Assemblea nazionale Pd.
«Ho smesso di fare il segretario, ma non ho smesso di ragionare per la ditta, ma alla luce del sole», dice l'ex leader. Una «ditta» che, comunque, Bersani non vuol veder finire nelle mani del suo ex sfidante Matteo Renzi. Al quale manda a dire che sarebbe un «elemento di confusione» se si arrivasse «a decidere l'8 dicembre su un candidato premier senza che l'attuale premier si possa candidare». Dando quindi per scontato che, quando si tratterà di decidere la premiership, il competitore di Renzi dovrà essere Letta. Anche Epifani, del resto, insiste perché Renzi firmi un patto per indire comunque primarie sulla premiership, anche se lo Statuto mantiene l'automatismo segretario-candidato. Al sindaco di Firenze, Bersani chiede di impegnarsi a non «giocare a palla col governo». Ma lo stesso ex segretario sembra convinto che questo governo non abbia un gran futuro: «La vediamo o no la difficile sostenibilità politica di questa fase? La vede anche Enrico Letta quando ripete che non si può governare a tutti i costi».
E certo una interruzione a breve di questa «fase politica», e delle faticose larghe intese, potrebbe offrire il doppio vantaggio - sempre nella mente degli anti-renziani - di bloccare il percorso congressuale e di liberare Letta, consentendogli di contendere a Renzi la premiership.

Sul caotico fronte interno al Pd sembra intanto scesa all'improvviso una certa calma. Il disastro dell'Assemblea nazionale di sabato ha finito per spaventare tutti, e per indurre anche i più accaniti anti-Renzi a fermarsi ad un passo dal baratro. «Dal Pd è arrivata una immagine terrificante, ci vorranno mesi di lavoro per recuperare questo disastro», dice il ministro Maria Chiara Carrozza. Che ci sia una frenata in atto lo dimostra il fatto che, nell'ultima riunione del comitato che si occupa delle regole (assente, cosa che ha incuriosito molto, l'emissario di Letta), si è deciso di affidare il compito di mettere a punto il calendario e il regolamento congressuale al tandem Gualtieri-Bonaccini. Il primo «giovane turco» supporter di Gianni Cuperlo, il secondo (potente segretario regionale dell'Emilia) di Matteo Renzi. Il quale, volato ieri a Londra per un summit con sindaci del calibro di Boris Johnson (Londra) e Michael Bloomberg (New York), si dice «tranquillo» sul fatto che i tentativi di imboscata nei suoi confronti siano destinati ad esaurirsi.

Tanto da aver lasciato cadere nel nulla le richieste di dimissioni del responsabile Organizzazione del Pd, il bersaniano Zoggia, avanzate dalla renziana Lorenza Bonaccorsi assieme a Matteo Orfini. «Dobbiamo stare lontani dalle beghe interne», è il suo mantra.

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