RomaLa buona notizia arriva da Piazza Affari: le Borse tengono, lo spread scende sotto quota 340, la rete organizzata attraverso i dieci saggi regge la prova finestra, almeno il primo giorno. Quella cattiva, per Giorgio Napolitano, viene invece dalla politica, che in modo bipartisan ha già impallinato i suoi esperti. E così il presidente, «amareggiato per le critiche e per i sospetti assurdi dei partiti», è costretto a sfumare, circoscrivere, depotenziare il profilo delle commissioni. I gruppi di lavoro «non interferiranno sulle Camere», non proporranno «soluzioni di governo», ma si limiteranno a «concorrere a creare condizioni più favorevoli» a un'intesa. E non staranno lì per sempre. «Per essere utili, il tempo giusto è otto-dieci giorni».
Dunque niente golpe, nessun commissariamento, ma una «scelta obbligata». Dopo due consultazioni e un incarico esplorativo flop, spiega Napolitano, «mi sono trovato in una condizione di impossibilità a proseguire nella ricerca di una soluzione alla crisi di governo, data la rigidità delle posizioni delle principali forze politiche». Sullo scorcio del settennato, senza l'arma dello scioglimento, senza un candidato a Palazzo Chigi capace di radunare una maggioranza, il presidente ha scelto, come sostiene il costituzionalista Michele Ainis, di «riempire la scena» sperando che nel frattempo maturi qualcosa.
Ma i partiti l'hanno attaccato e lui se l'è un po' presa. Si scusa per non aver scelto delle donne. «Ho proceduto in condizioni di particolare urgenza e difficoltà. Per nomine più sostanziali e di lungo periodo bisogna dare il giusto peso alla componente femminile». Però rifiuta il processo alle intenzioni. «Ho visto che questa mia modesta decisione, di portata assai limitata, ha dato luogo a reazioni di sospetto e interpretazioni francamente sconcertanti». E guai a parlare di Repubblica presidenziale: «È del tutto ovvio che qui non si crea nulla che possa interferire nell'attività del Parlamento e nelle decisioni delle forze politiche». Che faranno allora i dieci agevolatori? Proveranno a sbloccare lo stallo. «Indicheranno i problemi urgenti del Paese, sia di carattere istituzionale che economico»: legge elettorale, riforme, conti pubblici. Cercheranno insomma dei punti unificanti sui quali costruire eventualmente un accordo. Compileranno una specie di codice a barre da usare per riaccendere il Belpaese.
Tra otto-dieci giorni le due commissioni produrranno dei documenti che il capo dello Stato girerà poi ai capigruppo. «Spero di aver chiarito così anche la questione temporale, segnata dal fatto che io stesso ho un tempo segnato». I gruppi di lavoro quindi «non scavalcheranno la mia presidenza». Le loro conclusioni potranno essere «un buon materiale» per il nuovo capo dello Stato.
E qui torna il fattore calendario. Le procedure per l'elezione del futuro presidente dovrebbero scattare il 15 aprile, ma prima bisogna aspettare le elezioni regionali in Friuli-Venezia Giulia del 20 e 21. Siccome tra spoglio, scelta e nomina dei delegati passerà un'altra settimana, ecco che si arriva alla fine del mese.
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