Se Veltroni domenica ha messo nei guai D'Alema (e la Bindi), ora D'Alema mette nei guai Bersani. Nel giorno in cui sull'Unità vengono pubblicate settecento firme di amministratori e «società civile» a suo sostegno, l'ex premier dice che la sua «disposizione» sarebbe per «non candidarmi», ma che potrebbe farlo «se me lo chiede il partito». Al segretario l'ardua sentenza, e come farà sbaglierà, ovviamente.
Che vinca o che perda le primarie (e nel Pd si stanno dando un gran daffare per evitare la prima ipotesi, coniando regole sempre più demenziali), il ciclone prodotto da Matteo Renzi si è ormai abbattuto sul partito e la sua classe dirigente, con effetti da psicodramma collettivo.
Se ne è avuto un assaggio ieri, quando la direttrice di Youdem tv e pasionaria bersaniana, Chiara Geloni, ha abbandonato gli studi di Tgcom24 indignata: «Hanno fatto solo domande su Veltroni, si dà più spazio a uno che non si candida deputato che a uno che si candida a premier». I supporter di Bersani ce l'hanno a morte con Walter e il suo gran rifiuto annunciato da Fazio, e il perché lo spiega chiaro la dalemiana Velina Rossa di Pasquale Laurito: «È stato un atto di ipocrisia politica che ha tolto spazio all'iniziativa del segretario Pd», oscurando il suo debutto nella natia Bettola. Bersani invece, nonostante il rammarico per la singolare coincidenza di tempi, è molto grato a Veltroni per avergli reso più facile (tranne nel caso di D'Alema) il repulisti. E infatti ieri l'elenco di coloro che fanno un passo indietro si è allungato: Pierluigi Castagnetti ribadisce quel che già da mesi ripete: «Non mi ricandido, è l'ora di una nuova generazione». Pronto a ritirarsi anche Franco Marini, ma Livia Turco si inalbera: «La campagna di Renzi è talmente offensiva che uno decide di non andarsene». Enrico Morando ci sta riflettendo, elogia la «generosità» di Veltroni e attacca Bersani: «Grave» che abbia fatto togliere dal documento della coalizione ogni riferimento al governo Monti, che pure appoggia: «È subalterno a Vendola». Ma cosa farà ora Veltroni? Beppe Grillo lo sfida a rinunciare al «vitalizio di 9mila euro (lordi, ndr)» da ex eurodeputato, e che girava in beneficenza. Ma nel Pd laziale, alle prese con la carenza di candidati forti per Roma, c'è chi sogna di convincerlo al ritorno in Campidoglio.
Intanto il sindaco di Rionero in Vulture smentisce di aver firmato l'appello pro-D'Alema, anche perché «sto con Vendola»; mentre Laura Puppato, aspirante candidata alle primarie, si indigna perché ieri, appena ha portato a Roma le 95 firme di membri dell'assemblea nazionale Pd necessarie, le è stato comunicato che purtroppo nel frattempo sono cambiate le regole. Ora ne servono 20mila, raccolte in tutta Italia, non più di 2.000 per regione, entro il 25 ottobre. «Sono sconcertata, si cerca di dissuadere la partecipazione, moriremo di burocrazia», denuncia lei. Si difende il comitato pro-Bersani, per bocca di Tommaso Giuntella: «Lo ha deciso sabato la coalizione, non noi». Tutta colpa di Nencini, insomma, ai cui diktat il Pd si è dovuto arrendere.
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