Ora nel mirino c’è Calderoli E tra le procure è scontro: basta con le indagini show

Accertamenti anche sull’ex ministro e perquisizioni in otto banche. I pm milanesi e calabresi accusano Woodcock per la fuga di notizie

Ora nel mirino c’è Calderoli  E tra le procure è scontro:  basta con le indagini show

Milano - E adesso ce n’è anche per Roberto Calderoli, fresco di nomina nel triumvirato che regge la Lega: la Procura di Milano intende indagare anche su di lui, in relazione alle intercettazioni in cui si parla ripetutamente di soldi destinati a lui. È l’ultima novità di una inchiesta, quella su «Lega Ladrona», pirotecnica e spettacolare come non si vedeva da tempo: prime pagine in mezzo mondo, trasmissioni tv, confessioni, verbali, insomma il miglior mix possibile tra successi investigativi e gloria mediatica.
Dettaglio: stavolta a indagare sono non una bensì tre Procure.

E come era forse fatale, pare che la guida dell’inchiesta sia finita al centro di gelosie e polemiche tra i vari magistrati coinvolti nella faccenda. Gelosie che non si capisce bene quanto riguardino la gestione concreta delle indagini e quanto invece il rapporto con i mass media: tradotto in soldoni, quanti e quali bocconi allungare ai famelici cronisti giudiziari.
Fin dal primo giorno di «Lega Ladrona», sui giornali è finito praticamente di tutto e in presa diretta. Decreti di perquisizione, verbali di interrogatorio, informative dei carabinieri. Si trattava di atti teoricamente coperti da segreto d’ufficio, e quindi non pubblicabili. Ma le tre Procure impegnate nell’inchiesta - Milano, Napoli e Reggio Calabria - non erano sembrate particolarmente scosse dalla torrenziale fuga di notizie. Anzi, come spesso accade, era sembrato che il gigantesco clamore sollevato dall’indagine fosse in parte funzionale agli sviluppi dell’indagine stessa, perché in grado di scompigliare le fila dei testimoni e degli indagati (come è puntualmente accaduto). Qualche malumore, se non altro per questioni di stile, avevano destato tra i milanesi solo le immagini, trasmesse a ripetizione dai tg, del collega napoletano Henry John Woodcock durante l’incursione nella sede del Carroccio in via Bellerio.

Invece ieri mattina accade qualcosa di nuovo e di diverso. Praticamente tutti i quotidiani pubblicano nuove tonnellate di documenti. Ci sono le fotocopie integrali della cartellina «The Family» e del suo contenuto (ovvero le spese a favore di Umberto Bossi e dei suoi congiunti), sequestrati nella cassaforte dell ex tesoriere leghista Francesco Belsito. E c’è tutto il succo del voluminoso rapporto della Dia di Reggio Calabria, 416 pagine zeppe di intercettazioni inedite.

Un giornale, poi, pubblica un elenco di conti correnti riconducibili alla Lega, costringendo i pm milanesi a disporre precipitosamente perquisizioni in otto banche, tra cui la Aletti di Genova, per acquisire i conti leghisti.
Cosa accade a quel punto? Secondo quanto riferiscono ieri tutte le agenzie di stampa, in Procura a Milano si arrabbiano di brutto. Soprattutto l’informativa della Dia e l’elenco dei conti dovevano restare segreti perché oggetto di indagini ancora in corso. Si parla addirittura di indagini «rovinate». E il presunto colpevole è chiaro fin dall’inizio: la Procura di Napoli, che ha depositato - senza che la cosa fosse indispensabile - gli atti al tribunale del Riesame, rendendoli di fatto pubblici.
Nel tardo pomeriggio arriva inevitabile la smentita di Edmondo Bruti Liberati: «La Procura di Milano procede in piena collaborazione con la Procura di Napoli con i necessari scambi di atti e di informazioni», scrive. Una smentita quasi d’obbligo, pena uno scontro formale con i colleghi partenopei. Ma che non dissipa le nuvole sui rapporti tra i due uffici. Senza dimenticare il terzo protagonista dell’indagine, ovvero la Procura di Reggio Calabria.

Che anzi è - fin dagli esordi della vicenda - la più impermalita per il ruolo della Procura di Napoli, che i calabresi accusano di avere forzato i tempi facendo esplodere pubblicamente la faccenda e impedendo di fatto che si scavasse più in profondità.
Se si guardano le carte dell’inchiesta, d’altronde, Reggio può rivendicare la primogenitura delle indagini: il suo fascicolo è stato aperto nel 2010, quello di Woodcock a Napoli nel 2011, il filone milanese nasce solo nel 2012 sulla base della denuncia di un militante leghista. Ma Reggio segue in realtà una traccia tutta sua, con l’ipotesi di una commistione tra fondi neri della Lega e capitali sporchi della ’ndrangheta: tra gli elementi a sostegno di questa ipotesi, si apprende ieri, una intercettazione in cui il cassiere leghista Francesco Belsito e l’avvocato calabrese Bruno Mafrici parlano di investire nella Banca Arner fondi di provenienza illecita.

Invece Milano e Napoli di fatto stanno indagando praticamente sulle stesse cose, cioè sulla contabilità interna della Lega.

Di chi è la competenza? Di Napoli che ha iniziato per prima, o di Milano che rivendica la giurisdizione territoriale su via Bellerio? È questo l’interrogativo cui si dovrà trovare una risposta, di cui le presunte schermaglie di ieri sono solo una anticipazione: e su cui la mediazione tra toghe milanesi e napoletane si annuncia tutt’altro che semplice.

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