Roma - La partita ora si riapre su tre fronti: la tv, le regole del ballottaggio e il recupero dei voti finiti agli altri candidati. A cominciare da quelli di Nichi Vendola, un prezioso 15%.
Ieri Vendola ha smentito sdegnato l'ipotesi di trattative segrete con Bersani con in palio un futuro incarico di Commissario Ue: «A simili cialtronerie non rispondo neanche: non sono sul mercato delle poltrone». Di certo, però, gli interessa ottenere un segnale politico pesante, da Bersani, a dimostrazione che la futura alleanza sarà a due, e che Sel è in grado di condizionarne l'asse politico. «Bersani dica cose che hanno profumo di sinistra». Bersani però sa di doverci andar cauto, per non perdere al centro ciò che recupera a sinistra e per riportare i suoi alle urne. La sua scelta il leader di Sel l'ha comunque già fatta, ed è inevitabile: «Mi impegnerò perché non vinca Renzi». Tanto che trapela la voce di un comizio a due, Bersani-Vendola, nel Sud. Ma anche il governatore pugliese sa che, come dice Renzi, «i voti di opinione» da lui raccolti non si trasferiranno automaticamente sul segretario del Pd, ma potrebbero finire anche sul giovane sindaco «rottamatore».
La tv è il grande atout in mano a Matteo Renzi, e infatti Bersani si è dovuto arrendere al faccia a faccia Rai di domani (condotto da Monica Maggioni) ma ha detto no ai confronti proposti da Enrico Mentana su La7, da Sky e da Mediaset. E ora i suoi sono al lavoro per concordare regole del dibattito che limitino al massimo il contraddittorio tra i due, cercando di rendere il confronto più asettico possibile.
Per colmare il gap (a domenica di quasi 300mila voti) con l'avversario, Renzi deve portare alle urne molti nuovi elettori. E qui si erge il muro delle regole, che i bersaniani stanno cercando di rendere impermeabile. Ed è facile intuire che non molleranno facilmente, anche se i renziani promettono battaglia campale: «Se votano gli stessi del primo turno ce la facciamo, anche se probabilmente non sarà un trionfo e Renzi avrà un buon risultato. Se si riaprissero le iscrizioni, sarebbe un problema enorme», ammette un esponente bersaniano.
Ma gli effetti della blindatura sono involontariamente comici: il povero Luigi Berlinguer, capo del Collegio dei Garanti, ieri è stato mandato in conferenza stampa a spiegare cose incomprensibili: «Gli uffici provinciali elettorali valuteranno il fatto che la causa» del mancato voto al primo turno «sia indipendente dalla loro volontà». E dunque «l'aspirante votante si recherà lì dove si valuterà la regolarità sulla attendibilità» di tali motivazioni.
In pratica il disgraziato aspirante elettore che voglia partecipare al ballottaggio senza aver votato al primo turno dovrà recarsi, solo il 29 e il 30 novembre, e solo negli uffici provinciali (uno per ogni capoluogo) e convincere i dirigenti locali del Pd che le cause del non voto erano autenticamente «indipendenti dalla loro volontà». Con pezze d'appoggio, incalza Matteo Orfini, bersaniano di ferro: «Devi spiegare perché non ci sei andato, devi portare una carta. Se eri all'estero bisogna far vedere i biglietti. Non puoi dire che eri negli Stati Uniti e invece stavi passeggiando. In ogni caso ci vuole una giustificazione formale». In verità, lo stesso Berlinguer si era mostrato in mattinata assai più possibilista, lasciando intendere che per registrarsi al secondo turno sarebbe bastata una «dichiarazione di impossibilità» da parte dell'elettore. Poi è stato convinto che le maglie andavano strette al massimo. Gli uomini del sindaco di Firenze però daranno battaglia fino all'ultimo, contando sul fatto che difendere la blindatura potrebbe comportare un danno d'immagine per il segretario Pd.
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