Il fatturato cala. E la fiducia nel futuro gli va dietro. Scarseggia il denaro, non il lavoro. Le banche fanno poco o nulla per facilitare l’uscita da questo abisso. È un ritornello doloroso quello che si alza dal mondo degli artigiani. Sono una peculiarità tutta italiana, l’espressione più visibile della fantasia e della voglia di costruire che costituisce il Dna di questo nostro tartassato Paese. Persone che credono in se stesse, nelle proprie capacità, nella possibilità di produrre beni e lavoro. Che non temono la precarietà, anzi la sfidano, perché non hanno come ultima aspirazione una vita da statale.
Questo patrimonio di passione, creatività e coraggio oggi è il più sfiancato dalla crisi. Ieri la Confartigianato di Treviso assieme a Veneto Garanzie ha presentato un’indagine (curata da Tolomeo studi e ricerche) tra 800 piccole imprese della Marca. Che gli artigiani – da Treviso a Mestre - si siano dovuti trasformare in statistici, la dice lunga sul bisogno che hanno di comunicare la loro realtà misconosciuta, messa in ombra dai grandi numeri e da altre associazioni di categoria che con il peso del fatturato schiacciano le realtà più vitali della nostra economia.
Vent’anni fa, simbolo del miracolo Nordest, la provincia di Treviso rappresentava da sola un sesto del saldo attivo italiano con l’estero. Un rigoglio di fabbriche, capannoni, volontà di crescita, di riscatto, di cambiamento. Oggi, invece, che cosa dice questa ricerca? Il 47 per cento delle imprese nella seconda metà del 2011 ha ridotto il fatturato, che per il 39 per cento è rimasto invariato: dunque cresce solo un’azienda su 10. Le imprese artigiane se la passano peggio delle non artigiane, soprattutto quelle dell’edilizia (costruzioni e legno-arredo). Settore da cui provengono entrambi gli operai disperati che negli ultimi giorni si sono dati fuoco a Bologna e Verona.
Il giro d’affari cola a picco anche perché peggiorano i rapporti con le banche. Un artigiano su due soffre per la mancanza di credito, e anche in questo caso sono più colpite le imprese edili dove la percentuale di chi annaspa sale al 62. Si allungano anche i tempi di pagamento: il 74 per cento delle imprese (tre su quattro) lamenta pesanti ritardi, che nel 46 per cento dei casi superano i 3 mesi. Qui c’entra poco la pubblica amministrazione, che pure ha tempi di pagamento insostenibili. Gli artigiani lavorano poco per il settore pubblico ma moltissimo come fornitori di clienti privati o di altre imprese della propria filiera produttiva. Sono dunque altre ditte e i privati a moltiplicare la crisi dell’artigianato. Oltre un quarto dei piccoli imprenditori ha crediti che superano metà del fatturato, una soglia vitale. Non è il lavoro che manca: sono i soldi.
Le piccole aziende potrebbero anche assumere di più, ma si arrestano perché non sanno quando arriverà il denaro. Così, basta un episodio imprevisto (come un calo di vendite o il pagamento della liquidazione a un dipendente che va in pensione) perché un artigiano finisca sul ciglio del baratro. E le banche si rifiutano di concedere fidi o anticipazioni sulle fatture già emesse ma non saldate, perché il pagamento potrebbe non avvenire.
Mai come adesso c’è bisogno degli istituti di credito. La crescente lentezza degli incassi aumenta il bisogno di denaro liquido. Ma dalle banche i finanziamenti escono con il contagocce, e quel poco è carissimo. Secondo la Banca d’Italia i prestiti alle imprese italiane nel 2011 sono scesi dell’1 per cento a dicembre, dopo un calo dello 0,1 per cento a ottobre e novembre. Lo spread sull’Euribor a tre mesi era a 2,8 punti a dicembre (contro l’1,7 di giugno) e fa ulteriormente salire gli interessi pagati dalle imprese. Spiega Mario Pozza, presidente degli artigiani della Marca: «Si ricorre all’indebitamento non per potenziare gli investimenti, ma per alimentare un circuito vizioso, perverso, insostenibile. Ci si indebita per pagare i vecchi debiti e le spese correnti: stipendi, fornitori, materie prime».
Ma con i bilanci, i debiti e i posti di lavoro, affonda anche un bene forse più prezioso. La fiducia. La ragionevole speranza che il mercato risponda positivamente. Un imprenditore rassegnato è una contraddizione in termini. Ma è questa l’immagine che restituiscono i grafici di Confartigianato Treviso. Un clima di sconforto, avvelenato dalla sfiducia, in cui si mescolano il cattivo andamento della propria azienda, la crisi finanziaria globale, i timori sull’euro-zona, le mazzate delle manovre economiche. Due aziende intervistate su tre sostengono che la situazione è peggiorata e una su due è convinta che non migliorerà a breve.
Gli artigiani però non demordono. Pozza è convinto: «Si può, anzi si deve intervenire per sostenere le imprese in difficoltà».
Le ricette sono aiuti alla crescita, sensibilizzazione delle banche, una legge in tempi rapidi sui termini di pagamento in attuazione delle direttive comunitarie, accordi di filiera che contengano impegni comuni sui pagamenti. «Senza serenità un imprenditore non può lavorare – dice Pozza - ne va di mezzo il lavoro nostro e dei nostri dipendenti e una grossa fetta del benessere italiano».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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