Roma - Al termine di una giornata di fuoco, durante la quale la faglia tra Monti-boys e filo Cgil nel Pd è sembrata sul punto di trasformarsi in un baratro incolmabile, un esile filo di ottimismo si riaffaccia a sera a sinistra, sulla possibilità che in Parlamento la riforma dell’articolo 18 venga almeno addolcita.
Si guarda al Colle, per una volta con speranza: «Credo che il premier ascolterà Napolitano, che si rende conto di come la situazione sociale, prima ancora di quella parlamentare, rischi di diventare ingestibile», confida un dirigente. La tensione, nel partito, è alle stelle. Per la prima volta esce allo scoperto un dissenso profondo e diffuso contro un «governo di destra». «Sono profondamente deluso da Monti - dice il deputato torinese Portas, capo di un’azienda con 2.200 dipendenti - e lo dico da imprenditore, non da comunista: le aziende italiane non hanno margini di guadagno, eppure gli stipendi dei lavoratori sono a livelli greci. Il problema non è l’articolo 18, è la pressione fiscale e burocratica che ci soffoca. Ma al premier non interessa l’economia reale, solo gli investitori esteri: vuole poter andare in Cina a dire che qui la concertazione è morta».
Bersani a Porta a Porta ripete lo stesso concetto e alza i toni: «Monti non ci può dire prendere o lasciare, con noi deve ragionare». L’ex ministro Cesare Damiano annuncia chiaro: «Senza modifiche, io questa riforma non la voto». La modifica che potrebbe far rientrare il dissenso di una larga parte dei parlamentari Pd è fondamentalmente una: il ripristino del reintegro, deciso dal giudice, anche per il licenziamenti economici. Ossia, spiega il vicecapogruppo Michele Ventura, il ritorno a quel «sistema tedesco» che era la mediazione avallata dal Pd, «e sul quale anche la Cgil poteva aprire». Bersani, spiegano i suoi, si è sentito «ingannato» da Monti: nel vertice con Casini e Alfano, sul tavolo c’era il modello tedesco. Poi però la proposta del governo è cambiata. Il ripristino del reintegro sarebbe il segnale che fa scendere dalle barricate la Cgil, consentendo al Pd di rivendicare un successo. E di non spaccarsi nel voto. Monti, ieri, non pareva granchè intenerito dalle pene della Camusso e dei suoi supporter: «Ho evitato di far firmare l’accordo proprio per non isolare la Cgil, che si è messa all’angolo da sola», si è sfogato con Giorgio La Malfa. Ma sullo strumento da portare in Parlamento il premier frena: «Deciderò domani (oggi, ndr) con il capo dello Stato», ha detto a un suo ministro. Il Pd prova a dare un segnale di compattezza facendo pronunciare tutti i dirigenti (anche quelli che, lettiani e veltroniani, pronti a votare il testo del governo a scatola chiusa) contro l’ipotesi decreto, e su questo - assicurano - Napolitano darà manforte.
Ora il Pd rischia di esplodere: i pro governo contro i filo Cgil
Le due anime del Pd si fronteggiano e Bersani dice di sentirsi ingannato dal Prof: "Non può dirci prendere o lasciare"
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