C'è un papà felice in più, sulle panchine del parco giochi celeste. È un uomo ancora giovane, ha lineamenti distesi e dolcezza in fondo al cuore. Dopo anni di dolore e di sofferenze, può finalmente godersi il sogno cullato nelle notti e nei giorni della disperazione: dalle panchine del parco giochi celeste osserva il suo Tommy saltare felice tra scivoli e altalene, assieme agli altri angeli dell'innocenza perduta. È lo spettacolo che qui, in questo sporco mondo, la ferocia di certi uomini gli aveva brutalmente negato. Si goda lo spettacolo, signor Paolo. Nessuno più di lei se l'è meritato.
È così che piace pensarlo adesso, il papà del piccolo Tommy. Dopo cinque anni di coma vegetativo, per l'infarto che lo aveva steso il primo agosto 2006, mentre passeggiava sulle montagne di Folgaria con la moglie e l'altro figlio, lo vogliamo tutti immerso nella soavità di un'altra vita, più leggera e più libera, a Dio piacendo vicino e stretto al suo piccolo martire riccioluto. Abbracciati nel per sempre. È così che bisogna pensarlo, per trasformare il momento della morte, a soli 54 anni, in una bellissima notizia, molto più bella di quanto la nostra natura umana ci permetta di considerarla.
Da cinque anni il papà di Tommy era già in un altrove misterioso e inesplorabile. La speranza ci suggerisce di immaginarlo mentre già vagava in altri mondi, come in una lunga marcia di riavvicinamento all'adorato angelotto suo. Certo non è detto che sia proprio così. Certo il nostro scetticismo ci tenta, spingendoci a smantellare questa idea di meglio e di superiore, riportandoci drasticamente all'ipotesi nuda e cruda di un definitivo nulla totale. Ma anche in questa eventualità deprimente, poco cambia nella morte di Paolo Onofri: è comunque una grande liberazione. Via, per sempre, da troppo male e troppo dolore. Presto o tardi, anche la moglie Paola e l'altro suo figlio riusciranno a pensarla così. Nella segreta speranza che il marito, il papà, il pilastro della famiglia non sia sparito chissà dove, ma si sia solo portato avanti. Sì, sta semplicemente ai giardinetti, con il piccolo Tommy, in attesa di ricominciare in un altro modo una lunghissima vita insieme. Stavolta senza che rapitori e assassini possano più arrivare improvvisamente in una lugubre notte, come quel 2 marzo 2006, a stroncare nella violenza più cieca e più folle la sacralità dell'armonia domestica.
Buon viaggio signor Paolo. Si goda finalmente il piccolo Tommy, che quella volta diventò teneramente il fratellino d'Italia più amato e più rimpianto. Da parte nostra, di tutti quanti noi, non possiamo salutarla senza un minimo di rossore. La salutiamo come uno di quei grandi martiri della cronaca, che assieme alle pene di tragedie immani hanno dovuto sopportare il sovrapprezzo dell'incomprensione e della diffidenza, per non dire di un vero e terribile sospetto. È imbarazzante adesso ricordare, ma è a dir poco giusto e doveroso: nelle prime ore del rapimento, la grancassa a riflettori sparati dubitò di Paolo Onofri come padre. Fu uno di quei lavori che in associazione e concorso le categorie degli inquirenti e dei giornalisti spesso riescono a mettere in piedi, buttando lì la semplice ipotesi, senza sposarla fino in fondo, con molte avvertenze, comunque buttandola lì e lasciandola galleggiare sul mare mosso della morbosità generale. Nessuna pista va esclusa, questo l'alibi di ferro per buttarla lì. Così in quei giorni cupi Paolo Onofri viene sospettato di chissà quale torbido disegno, e come no, ha pure un computer nel garage con foto pedopornografiche (lui spiegherà più avanti di aver scoperto uno dei soliti giri sporchi on line e di voler sporgere denuncia).
Non è un'operazione nuova, per la verità: succede anche altrove, anche ad altri padri, di pagare il sovrapprezzo. Oltre al dramma, pure gli sguardi storti del popolo dei plastici. Succede al povero papà di Gravina, sospettato di aver ucciso i due bambini per far dispetto alla madre. E succede persino al papà di Yara, lui sospettato d'essere al centro di chissà quali traffici sporchi con chissà quali mafie, tanto da vedersi la figlia rapita per rappresaglia...
È tutto finito, signor Paolo. Almeno per lei. Ovunque si trovi, nessuna miseria e nessuna bassezza possono più sfiorarla. Si prenda Tommy per mano e vada a passeggiare allegramente nell'eternità. A noi resta uno scomodo senso di colpa, per aver aggiunto al suo dolore infinito l'appendice del gratuito sospetto. Potrebbe almeno servirci di lezione, ma è dubbio sia così. Troppi Maigret allo sbaraglio vivono con la fissa del padre snaturato.
di Cristiano Gatti
I rapporti tra Paolo Onofri e la moglie si incrinano, ma lei gli rimarrà accanto durante gli anni della malattia
È la notte
Il pc di Paolo Onofri viene passato al setaccio: ci sono foto pedopornografiche. Patteggerà una pena di sei mesi
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