Ventisei chili di pasta a persona. È questo il «peso sullo stomaco» dei cittadini italiani, che consumano una quantità di pastasciutta tre volte superiore a quella di americani, greci e francesi, cinque volte più di spagnoli e tedeschi, e sedici più dei giapponesi. La pasta è la regola, anche perché è l'ideale per saziarsi risparmiando, e tutto nel raggio di un singolo piatto.
Il piatto unico è il nuovo dogma a tavola: si mangia di corsa, l'incubo della dieta fa a gara con quello del portafogli: lo conferma il sondaggio Coldiretti, secondo cui il 32% degli italiani si limita al primo piatto. La vera sorpresa è l'emergere, dal campione intervistato, di una pattuglia di pasdaran del pasto completo. Sono solo uno su cinque, ma tengono duro: primo, secondo, contorno, frutta e dolce. E guai se non porti loro il caffè. Vere mosche bianche che volano di tavola in tavola, ma decisamente soddisfatte. Ribelli che, a colpi di forchetta, sfidano il clima salutista, nonostante il retrogusto un po' amaro del senso di colpa. «Chi viene da me e chiede il menù completo - racconta Paolo Cacciani, rinomato chef di Roma - quasi si giustifica per la disabitudine a mangiare tutto. Per la trasgressione, la gran mangiata che non fa mai a casa. E sempre al ristorante».
Ma chi sono questi alfieri della forchetta? «È una tipologia troppo trasversale per descriverla - prosegue Cacciani -. Di sicuro non i ragazzi. Soprattutto coppie di anziani. E poi qualche buongustaio. Io stesso mi scopro a pensare che in molti casi, al posto loro, mangerei molto meno». Un'altra tipologia è il cliente affezionato, quello della trattoria sotto casa o vicino al lavoro, spesso è qualcuno che viaggia per lavoro o chi resta single in tarda età. Entra e sprofonda sereno al solito posto, sotto lo sguardo ormai familiare dei camerieri. Dal tavolo d'angolo commisera gli avventori occasionali, gli impiegati che ingurgitano di corsa una forchettata di spaghetti. Per loro non c'è fretta che tenga: zuppa, involtini, insalata, ananas, tiramisù. E caffè, grazie. Il conto non serve chiederlo: il cameriere glielo allunga con discrezione. Per i veri habituèe «segna» e poi si paga a fine mese.
Per tutti gli altri, naturalmente, la pasta. «Una porzione abbondante non costa poco: 12-13 euro a piatto -dice Cacciani- Ma anche i nostri menù si stanno adeguando alla crisi». Oppure il buffet. «Io ne preparo uno enorme ogni giorno - spiega Filippo La Mantia, altro chef, siciliano nella capitale -: una cinquantina di cibi differenti. Il 60%, nel piatto mette la pasta; la maggior parte di loro solo un antipasto, 80 grammi di pasta e il dolce. C'è gente che si ferma pochi minuti e altra che va via dopo due ore». Dunque non è solo questione di tempo, anche chi ne ha di più a disposizione spesso non pasteggia a tutto tondo come si faceva una volta. E non è nemmeno solo questione di soldi. «I calciatori vanno matti di pasta. E poi è una tavolozza di colori: uno spasso per chi la prepara e per chi la consuma».
Ma se al 9% degli italiani degli italiani basta un frutto o uno yogurt per sentirsi sazi, il 4% si accontenta di un'ascetica boccata d'aria (salta il pasto).
Ben 7,7 milioni di italiani, infine, portano il pranzo in borsa, e lo versano sulla scrivania dell'ufficio. La metà lo fa tutti i giorni. È la folla che fa galoppare gambe e metabolismo, la corrente un po' fredda che, coraggioso, qualcuno combatte a pancia piena.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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