Soave e spietato, Enrico Letta spiana come un caterpillar gli sprovveduti grillini, vendicando l'onta subita da Pier Luigi Bersani; mette con chiarezza le carte in tavola con il Pdl, chiedendo l'impegno a far durare il governo per il tempo necessario ad affrontare la crisi e a fare le riforme («Un governo costituente»); sbriga in fretta la pratica dell'incontro con i due capigruppo del Pd. Intanto da Firenze gli arriva l'assist di Matteo Renzi: «Se ce la fa lui ce la fa l'Italia», dice il sindaco, «quelli che hanno voglia e il dovere di dare una mano non si mettano a fare veti incrociati. Chi ha il coraggio delle proprie azioni deve arrivare in fondo, non deve disertare».
Tra il premier incaricato e Renzi le relazioni sono intense e ottime. E Letta è uno dei tanti big del Pd che stanno attuando un forte pressing sul sindaco perché accetti di assumere subito, magari già dall'assemblea del prossimo 4 maggio, la guida del Pd. Stoppando il tentativo bersaniano di passare il testimone a Guglielmo Epifani. Prospettiva che allarma molti, perché - come spiega un lettiano - «il Pd non è la Cgil, e non deve diventarlo». Il premier incaricato ha insistito martedì, nel pranzo tête-à-tête che ha avuto col sindaco: «In questa fase così difficile tu sei l'unico che può tenere unito il partito, e che può farci entrare in sintonia con un elettorato più esteso del nostro». E sulla stessa linea sono Veltroni, D'Alema, Franceschini, Fassino. Renzi però resiste alle loro pressioni e a quelle dei suoi, in gran parte convinti che sia l'ora di «prendersi il partito» e lavorare da lì al rafforzamento della leadership. Che però, in caso di decollo e di buona prova del governo, dovrebbe fare i conti con il competitor Letta.
E ieri sera, sull'asse Dallas-Montecitorio, le quotazioni del governo Letta erano in deciso rialzo, anche se nel Pd stanno attenti a frenare gli entusiasmi, perché «siamo ancora alle premesse metodologiche, si parte solo se Berlusconi è disposto a prendersi un impegno pubblico sullo schema Napolitano: il processo costituente va avviato e portato a termine parallelamente al lavoro dell'esecutivo, che quindi deve durare un paio d'anni».
Ovvio che nel Pd i mal di pancia siano assai diffusi. Non tanto tra i parlamentari che dovranno votare la fiducia, e che facendosi due conti preferiscono che la legislatura continui, visto che buona parte di loro - tanto più con l'arrivo di Renzi - non avrebbero grandi chance di tornare; quanto tra i quadri locali che faticano a tenere a bada una base allevata per 20 anni a pane e antiberlusconismo. E che scalpita denunciando l'orrido connubio con il Cavaliere. «Il tentativo di Enrico Letta è l'unica strada per evitare il baratro. Chi lo chiama inciucio sta al calduccio nella sua rendita di posizione», avverte il lettiano Francesco Boccia, che richiama all'ordine gli oltranzisti che minacciano di non votare la fiducia ad un governo con il Pdl (Pippo Civati, Laura Puppato, Sandro Gozi) ricordando che un voto di fiducia non può essere spacciato per voto «di coscienza».