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Bindi a capo dell'Antimafia: sfruttò i sindaci anti boss per farsi eleggere alla Camera

Il Pd la candidò in Calabria: ma una volta presi i voti, non s'è più fatta vedere

Rosy Bindi durante la registrazione di  "Porta a Porta"
Rosy Bindi durante la registrazione di "Porta a Porta"

Milano - A Siderno la stanno ancora aspettando. Eppure a Rosy Bindi la Locride dovrebbe esserle cara, visto che quei voti raccolti alle primarie Pd in Calabria sono stati decisivi per la sua elezione come capolista. Da febbraio invece l'ex presidente Pd i calabresi la vedono solo in tv. D'altronde la Bindi non ha fatto un solo incontro sulla 'ndrangheta durante la campagna elettorale, ammettendo «di non sapere niente di mafia». «Doveva venire anche il 2 agosto, ero lì ad attenderla», dice al Giornale Maria Carmela Lanzetta, ex sindaco antimafia di Monasterace. Per la cronaca, allora Rosy preferì un talk show su La7.

La Lanzetta è amareggiata, ma non lo ammette per orgoglio. Aveva resistito alla tentazione di dimettersi dal Comune stritolato dalla mafia, quando i boss le hanno bruciato persino la farmacia di famiglia. Poi era arrivato Pier Luigi Bersani, l'aveva eletta icona della sua campagna elettorale, e tutto lo stato maggiore del Pd in Calabria si era convinto che alla fine sarebbe stata lei la capolista del Pd nel feudo bersaniano. E invece il commissario bersaniano Alfredo D'Attorre - ça va sans dire - anziché rilanciare il partito si è fatto eleggere e ha dato l'ok al paracadute pure per Rosy, tra lo sconcerto dei sindaci antimafia: «Avevamo scritto a Bersani - dice ancora la Lanzetta - per chiedere una candidatura simbolica, del territorio, per un segnale di cambiamento». Poteva essere la Lanzetta oppure Elisabetta Tripodi, sindaco di Isola Capo Rizzuto (feudo degli Arena, quelli che elessero l'ex senatore Pdl Nicola Di Girolamo in Germania) o Carolina Girasole (bersaniana poi arruolata con Monti).

Alla fine la Lanzetta ha perso tutto: niente scranno e niente fascia tricolore. Si è dimessa dopo il «no» del suo votatissimo assessore democrat alla richiesta del Comune di costituirsi parte civile in un processo nato da un'inchiesta antimafia che coinvolgeva due funzionari. Clelia Raspa, medico alla Asl di Locri dove lavorava il vicepresidente Pd del Consiglio regionale Franco Fortugno, ucciso in un seggio delle primarie nell'ottobre del 2005, forse non voleva mettersi contro il capoclan della cittadina della Locride, Benito Vincenzo Antonio Ruga. «Ma alla fine ce l'ho fatta a costituire il Comune parte civile per difendere l'integrità dell'istituzione», sorride amara la Lanzetta.

In fondo il povero Bersani non aveva scampo. La Bindi era a un passo dalla rottamazione, travolta dal ciclone Matteo Renzi. Solo delle primarie «blindate» avrebbero potuto salvarla, come successo con Anna Finocchiaro, siciliana ma eletta a Taranto. Esclusa la «renziana» Toscana, quale posto migliore della Calabria? Anche nel 2008 il Pd di Walter Veltroni aveva piazzato Daniela Mazzucconi dalla Brianza, guarda caso protegée della stessa Bindi. A stenderle il velo rosso al debutto di Rosy c'era tutto lo stato maggiore del Pd. Il cronista di Report Antonino Monteleone venne cacciato in malo modo da un congresso al quale partecipavano tutti i colonnelli locali, come la vedova di Fortugno, Maria Grazia Laganà o il potentissimo signore delle tessere Gigi Meduri, sponsor dell'ex consigliere regionale Mimmo Crea, beffato da Fortugno che gli scippò il seggio e beneficiario «politico» della sua morte. Che c'entra Crea, oggi travolto da pesantissime accuse, con la Bindi? Quando entrò nella Margherita, come scrive Enrico Fierro nel suo Ammazzati l'onorevole, Crea «fu festeggiato a Torino in una cena. Meduri, intercettato al telefono, si lasciò scappare: «Sedici erano a tavola, sedici deputati. C'era Franceschini, la Bindi. Quando è arrivato il conto ho detto a D'Antoni “provvedi a nome del compare Crea. Una scena che mi si mori...” (una scena che a momenti morivo dalle risate, ndr)».

Sai che risate con la Bindi all'Antimafia.

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