Pd, dieci dinosauri non mollano e chiedono la deroga a Bersani

RomaLe definizioni che girano in casa Pd e tra i deputati uscenti sono molteplici, ma il senso è analogo. Si va dal «massacro di Fort Apache» alla «pulizia etnica» alla «roulette russa». Con una sola certezza: le «primarie parlamentari» per scegliere i candidati alle prossime Politiche, e la loro posizione in lista (che con il Porcellum segna la differenza tra elezione o bocciatura), rischiano di decimare gli attuali gruppi di Camera e Senato, e di espellere dal Parlamento molte figure di spessore tecnico e politico ma prive di quell'appoggio dell'apparato o di quei pacchetti di clientele che serviranno a vincere la sfrenata gara delle preferenze a Capodanno.
Rischiano in tanti: i costituzionalisti Salvatore Vassallo e Stefano Ceccanti, che medita di non correre e tornarsene all'Università; ambientalisti come Ferrante e Della Seta, animatore di una dura battaglia contro l'Ilva (tanto che il proprietario della fabbrica, Emilio Riva, mandò una mail a Bersani per lamentarsene); rischia Paola Concia, unica parlamentare lesbica e animatrice di tutte le battaglie per i diritti (era eletta in Puglia, e un dirigente Pd locale ex Ppi le ha detto: «Che ti candidi a fare alle primarie? I voti non li avrai...»); rischiano l'operaio della Thyssen Boccuzzi; il primo deputato di colore italiano, Jean Leonard Touadi e l'ex giornalista Rai Andrea Sarubbi: «Non chiedo certo di essere nominato per diritto divino. Vorrei solo che ce la potessimo giocare alla pari: per partecipare alle primarie mi manca la principale caratteristica di un buon competitor, ossia il voto concentrato in un solo collegio». Sarubbi non lo dice, ma il senso è che qualunque piccolo ras delle preferenze locali ha più chance di entrare in Parlamento di quante ne abbia uno come lui. E infatti nel Lazio, a scaldare i muscoli, ci sono personaggi come gli ex Dc Bruno Astorre e il mastelliano Marco Di Stefano, che dalla regione Lazio sono pronti al grande balzo verso Montecitorio, forti di pacchetti di voti assicurati, o come il capogruppo al Comune di Roma Umberto Marroni. Così come si preparano in giro per l'Italia molti segretari provinciali e regionali del Pd, forti del loro rapporto diretto con gli iscritti e i quadri del partito. Rischia invece Roberto Giachetti, infaticabile segretario e vero motore del gruppo parlamentare alla Camera, nonché protagonista un lunghissimo sciopero della fame contro il Porcellum. Rischiano l'ex portavoce di Prodi, Silvio Sircana, Olga D'Antona, Andrea Bachelet. In compenso, in dieci hanno chiesto la deroga per poter rientrare: Rosy Bindi, Franco Marini, Anna Finocchiaro, Gianclaudio Bressa, Giuseppe Fioroni, Giuseppe Lumia, Cesare Marini, Mauro Agostini, Maria Pia Garavaglia, Giorgio Merlo.
Ieri si è riunita la direzione del Pd per varare il regolamento delle primarie e il pacchetto di «deroghe» da concedere ai dinosauri, i dirigenti di lungo corso che non hanno fatto il passo indietro scelto invece da Veltroni e D'Alema. Le urne si apriranno a macchia di leopardo tra il 29 e il 30 dicembre. La data è proibitiva, estremamente ravvicinata e strategicamente piazzata tra Natale e Capodanno, periodo di viaggi, vacanze o impegni familiari. «C'è il rischio che a votare vadano soprattutto i gruppi organizzati, controllati dai capibastone locali», paventano in molti.

La platea elettorale è quella degli iscritti al Pd e dei partecipanti alle primarie per la premiership di novembre tra Renzi e Bersani, ma la cosa non rassicura i supporter del sindaco di Firenze: quello renziano era un «elettorato soprattutto di opinione, di gente che per la prima volta partecipava ad una iniziativa di partito, e solo perché c'era Matteo». Riportarli alle urne non sarà facile. Bersani si garantirà invece la nomina di un centinaio di candidati «blindati», scelti dal centro.

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