Roma - Hollande non ha ancora vinto le elezioni francesi, ma nel Pd già si discute e ci si divide sulla lettura da dare della sua - eventuale - elezione.
Perché tra gli ex Ds è difficile sopprimere la tentazione della rivalsa «socialista», che ben esprimeva ieri il governatore della Toscana Enrico Rossi su Facebook, celebrando la «lezione» che arriva d’Oltralpe a «tutti coloro che pensano che la distinzione tra destra e sinistra abbia perso valore». Invece no, esulta Rossi, «la crisi economica rimette in campo la questione sociale, gli interessi e gli ideali di giustizia e libertà che qualificano la sinistra».
Dall’altra parte della barricata, ossia tra i post Dc, ci si irrita assai per questa lettura che trascinerebbe - si teme - il Pd verso identità sempre più socialdemocratiche. «Evitiamo che una bella primavera sia gelata da un inverno troppo rosso», ammonisce ad esempio Peppe Fioroni. Tant’è che al pur fervente hollandiano Bersani tocca gettare acqua sul fuoco, spiegando che se vince Hollande «non è che vinceranno le sinistre, vinceranno i progressisti e i moderati contro una destra populista». E che la stessa ipotesi deve prendere forma anche in Italia, dove è necessaria «una convergenza tra progressisti, moderati e democratici» contro il post-berlusconismo.
Dunque, secondo Bersani, è necessaria un’alleanza di governo tra il Pd (dato per potenziale vincitore della prossima tenzone elettorale persino da Berlusconi) e l’Udc - o come si chiamerà allora - di Casini. Un’ottima idea, che però non fa i conti con le reali intenzioni di Casini. Il quale, a sentire Fioroni, sta dando «numerosi indizi di voler troncare i rapporti con noi», e di predisporsi piuttosto a intercettare l’eredità berlusconiana, possibilmente frullandola assieme a quella del governo dei «tecnici», con il possibile arruolamento dei ministri Passera e Riccardi. Tra centro e destra c’è gran movimento, nota il lettiano Francesco Boccia: «Berlusconi ha spiazzato Casini lasciando trapelare il suo corteggiamento verso Montezemolo, che se fosse vero potrebbe cambiare le carte in tavola al centro». Col rischio che il Pd si ritrovi solo, o al massimo in compagnia di un Vendola piuttosto indebolito.
Nel Pd la tentazione di elezioni anticipate, che consentirebbero di tagliare la strada alla ristrutturazione del centrodestra, e di capitalizzare subito il buon risultato che ci si aspetta dalle amministrative, c’è. Ma di certo «non saremo mai noi a provocarle, col rischio di perdere il vantaggio che ora abbiamo», assicura un dirigente. E Bersani e D’Alema confermano, tanto «che si voti a ottobre o nel 2013 vinciamo comunque». C’è però il rischio che più il tempo passa e più possano maturare i progetti (allo stato molto vaghi) e i malumori di chi vede ormai il Pd come «un grande sogno in frantumi», come dice Arturo Parisi, incapace di «uscire dalle identità del passato» e di intercettare la domanda di novità di una larga parte del suo elettorato.
E così, dietro le quinte, si ricomincia a vociferare di una possibile scissione «ulivista» dal Pd, che potrebbe raccordare coloro che si sentono ormai troppo stretti nel Pd e che sognano un candidato premier diverso da Bersani con l’attivismo di tutte quelle realtà locali che stavano lavorando all’ipotesi di una «lista civica» o dei sindaci per le prossime politiche.
Le disavventure giudiziarie del sindaco di Bari Emiliano avevano messo in crisi l’ipotesi, ma c’è chi giura che riemergerà. E ieri, sul Foglio, l’ex consigliere prodiano Angelo Rovati lanciava anche il nome del «nuovo Prodi possibile»: il ministro (e figlio d’arte, il papà era dirigente Pci) Fabrizio Barca.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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