
Roma - Nel Pd che per i sondaggisti ha perso sei punti dall'inizio dell'anno (per Tecné era al 35,3% il due gennaio, oggi è al 28,8%), la paura fa novantaquattro. Il 1994 era l'anno in cui la gioiosa macchina da guerra guidata da Achille Occhetto, che nell'autunno precedente sfrecciava sulla strada delle elezioni (le prime del dopo-Tangentopoli), a gennaio iniziò a perdere giri e alla fine uscì di strada, battuta dal prototipo berlusconiano di Forza Italia appena messo a punto. Ora molte cose sono cambiate, meno due: l'inguaribile presunzione del centrosinistra, che pareva il Barcellona di Messi che si allenava per affrontare l'Albinoleffe e ora ha gambe dure, infortuni a mazzi e poca voglia di combattere; e il talento di Silvio Berlusconi nel catturare l'opinione pubblica e ribaltare i pronostici. Stavolta, lo sa anche lui, è dura davvero. Ma ci proverà fino all'ultimo. Del resto è stato lo stesso Pier Luigi Bersani a fare un profetico paragone una decina di giorni fa: «Noi siamo la lepre da inseguire», disse allora. Mal gliene incolse: la lepre nelle gare di fondo è quell'atleta che detta il ritmo ai top runner per consentire loro di battere un record: corre forte, ma a un certo punto si ferma. È il suo destino, com'è quello della lepre - in un'altra accezione - di essere impallinata e finire in salmì.
I sondaggi del resto parlano chiaro: l'ultimo, reso noto ieri dalla trasmissione di Rai3 Agorà ed elaborato dalla società Swg, vede la coalizione di centrosinistra al 33 per cento, con l'1,9 per cento in meno rispetto alla scorsa settimana ma soprattutto molto meno del 37,5 per cento ottenuto dalla coalizione in salsa veltroniana (Pd più Idv) nelle disastrose elezioni del 2008. Il Pd perde un punto (dal 29,8 al 28,8) mentre Sel scende dal 4,4 per cento al 3,8 per cento. Il centrodestra recupera la stessa percentuale persa dai progressisti, passando dal 25,3 al 27,2: ed è proprio il Pdl trascinato da un Cavaliere in forma smagliante a crescere di più passando dal 15,7 al 17,7. Allo stato attuale quindi la tediosa macchina da guerra di Bersani non riuscirebbe a strappare la maggioranza in Senato e si avvierebbe quindi a una vittoria mutilata. Una tendenza confermata dagli altri istituti di ricerca, che danno risultati simili. Non solo: il divario potrebbe scendere ancora, per effetto della capacità di Berlusconi di convincere quella parte dell'elettorato che appare ancora incerta, e che è ancora una fetta consistente.
Il nervosismo del Pd - la cui commissione nazionale di garanzia ha ieri escluso dalle liste Mirello Crisafulli, Antonio Papania e Nicola Caputo - è evidente e si legge in alcuni segnali. Bersani che, con la coda di paglia, continua a garantire come in un ritornello: «Non abbiamo paura» senza che nessuno gli abbia chiesto nulla. Bersani che si trova d'accordo con Berlusconi nell'invocare il «voto utile». Ancora Bersani che sembra aver rivalutato la prospettiva di alleanze: quella post-elettorale con Monti, che però pone il problema di coesistenza con i veterocomunisti di Nichi Vendola; e quella possibile ma problematica con i rivoluzionari piuttosto civili di Antonio Ingroia, che i sondaggi danno tra il 4 e il 5 per cento: abbastanza per erodere qualche consenso del Pd e per conquistare deputati alla Camera e sperare di fare il colpaccio anche in qualche regione al Senato. Già, perché il partito delle toghe viene dato forte proprio in Sicilia e in Lombardia, due regioni in bilico e quindi strategiche per lo scacchiere di Palazzo Madama.
Proprio lì il Pd sta cercando di ottenere un passo indietro da Ingroia e soci. Se ci riuscirà, la sinistra oltre al 25 aprile, festa della resistenza, potrà dal prossimo anno celebrare anche il 25 febbraio, festa della desistenza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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