Il Pd imbarazzato adesso trema e vieta di registrare il "j'accuse"

I pm volevano l'audizione dell'ex tesoriere della Margherita, ma il nastro non esiste. Il leader Bersani: "Non sono belle storie". Il segretario Pdl Alfano: "Fosse successo a noi..."

Il Pd imbarazzato adesso trema e vieta di registrare il "j'accuse"

Roma - Il paradosso? Le dichiarazioni esplosive di Luigi Lusi nella seduta della giunta del Senato, mercoledì sera, non sono finite nero su bianco. Grazie al Pd. E la magistratura che ne voleva copia resterà a bocca asciutta.
A dire il vero, il senatore del Pdl Giuseppe Saro aveva proposto di registrare l’audizione dell’ex tesoriere, per trascriverne le parole. Ma il presidente Marco Follini sul punto ha chiesto l’unanimità, scontrandosi con la contrarietà dei Pd Francesco Sanna e Giovanni Legnini, che ha di fatto impedito la registrazione della seduta in cui Lusi, parlando per due ore, ha fatto nomi e cognomi dei politici di centrosinistra a cui sostiene di aver versato soldi. E se è vero che la prassi della giunta per le autorizzazioni non prevede che le audizioni vengano riversate su nastro, poteva suggerire una scelta diversa la delicatezza di quella seduta con Lusi: indagato per questioni strettamente legate alla politica, già tesoriere di membri della giunta come il senatore ex Dl Franco Bruno, e lui stesso ex membro fino al 15 aprile scorso. Invece niente. E così il «no» alla registrazione imposto dal Pd ha già un primo effetto. I pm romani che indagano sull’ex tesoriere avevano manifestato l’intenzione di chiedere alla giunta il verbale dell’audizione. Che però, appunto, non esiste.
In ogni caso, una cosa è certa: la furibonda «chiamata in correità» fatta da Lusi all’intera Margherita non è stata un fulmine a ciel sereno. Da settimane nel Pd si evocava sottovoce quella spada di Damocle sospesa su tante teste: chi con amarezza e preoccupazione, chi (soprattutto in casa ex Ds) con maliziosa aspettativa. Tanto per pareggiare i conti con le lezioncine di morale inflitte dai Margheritini ai post Pci sul caso Penati o sulla vicenda Unipol. Ma, a parte queste piccole soddisfazioni, nel Pd non si sta certo allegri, perché il contraccolpo della vicenda rischia di non risparmiare nessuno: «È l’ennesima ondata del fango che sta sommergendo la politica, e che mette in fuga gli elettori», sospira l’ex Ppi Lino Duilio. Il segretario Pd Bersani ammette che «non sono belle storie», ma precisa che Lusi è già stato «cancellato» dal partito, e assicura che non ci sarà nessun tentativo di salvataggio dalla galera: «I senatori sono uguali agli altri cittadini, punto e basta». Ma non sarà così facile dimostrarlo: nel gruppo al Senato c’è il timore che nel voto segreto in aula Pdl e Lega si uniscano per dire no all’arresto, scaricando poi la responsabilità sul Pd.
Rutelli, Renzi e Bianco si difendono con veemenza dalle accuse. Il sindaco di Firenze minaccia querele all’ex tesoriere: «Io non ho preso una lira, ma il giochino è chiaro: si vuol far credere che siamo tutti uguali». Gli altri chiamati in causa nell’audizione a porte chiuse tacciono. Uno di loro si sfoga riservatamente: «Se Lusi mi cita perché sul territorio ha pagato i manifesti di qualche candidato o i convegni di qualche esponente, qual è il problema? Il finanziamento pubblico serve a fare politica. Se mi ci fossi pagato le vacanze ai Caraibi sarebbe ben diverso». Dal Pdl, il segretario Alfano ironizza: «Non oso pensare cosa ci sarebbe piovuto addosso se fosse accaduto a noi quel che succede alla Margherita».

Sul “doppio binario” giudiziario, però, si interroga anche un ex Dl come Antonello Giacomelli: «Perché in due casi così simili le imputazioni sono così diverse, e per Lusi si parla di appropriazione indebita, mentre per la Lega si ipotizza la truffa aggravata allo Stato?».

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