Pd in mille pezzi: Bersani scarica D'Alema

Pd in mille pezzi: Bersani scarica D'Alema

Roma«Ponzio Pilato», lo bolla veemente la Velina Rossa. Accusando Pier Luigi Bersani di essersi «lavato le mani» della sorte di Massimo D'Alema, ben sapendo di avviarlo al suo Calvario.
Il diretto interessato reagisce con molto più savoir faire, addirittura difende il segretario che, dice, «assolutamente non mi ha scaricato», anzi: «Ha ragione Bersani - dice D'Alema - non è il capo che fa le liste, anche se ha vinto le primarie, ma sono tutti i dirigenti del partito». Ma in realtà quello che si va consumando in casa Pd è un vero e proprio psicodramma, e Bersani sapeva bene che, con quella risposta vagamente burocratica alla domanda «Chiederà a D'Alema di ricandidarsi?», durante il forum su Repubblica tv, avrebbe tolto l'ultimo argine alla stagione del repulisti: «Io non chiederò a nessuno di candidarsi, non sono quello che nomina i deputati», dice sornione il segretario Pd. Chi vuole essere esonerato dalla regola dei tre mandati dovrà farne domanda alla Direzione del partito, che deciderà. Un modo per far capire, senza dirlo, che sarà lui ad avviare la «rottamazione» (pur condannando severamente chi la chiede apertamente).
L'ira dei dalemiani, cui dà voce Pasquale Laurito con la sua «Velina», è comprensibile. Intanto i renziani cantano vittoria, anche se Renzi ha capito al volo che ora rischia di trovarsi con le armi spuntate a vantaggio del segretario: «Bersani dice che non chiederà a nessuno di candidarsi: ok. A questo punto credo che gli stiamo facendo un piacere». Ieri nel Transatlantico di Montecitorio si aveva una rappresentazione plastica del tumulto nel Pd: Rosy Bindi impegnata in frenetici conciliaboli con Livia Turco (sua accanita paladina) e con altri a lei vicini per capire il da farsi; D'Alema tirato in volto e assediato dai cronisti che negava di essere stato «scaricato» dal segretario; Veltroni che solcava serafico il corridoio stringendo mani e salutando giornalisti. Lui la sua mossa la ha già fatta, sfilandosi magistralmente dal ciglio del burrone.
Bersani mette fieno in cascina per vincere le primarie, ma sa che la strada per Palazzo Chigi resta irta di ostacoli. Chiusa l'intesa con Sel e con i socialisti, resta aperta la questione Di Pietro: l'ex pm ha capito che Grillo non lo vuole e che (specie dopo il caso Maruccio) il rischio di non superare il quorum da solo è forte. Dunque bussa alle porte del Pd, dicendosi pronto a firmare la «carta d'intenti». E il Pd non dice no, anzi i contatti informali sono in corso. «Se resta il premio di coalizione, sarà inevitabile imbarcare anche Di Pietro», va ripetendo da giorni il vendoliano Franco Giordano. «Bersani sa che o vince lui o c'è il Monti bis, quindi il centrosinistra ha bisogno di ogni sua componente per vincere», spiega il capogruppo Idv Donadi, da sempre pontiere con il Pd che ora ha trascinato dalla sua anche il «capo».

La tentazione di lasciare che l'Idv venga a Canossa col suo gruzzolo di voti è forte ai vertici Pd, ma «serve un gesto forte di Di Pietro per evitare che Napolitano faccia le barricate», sussurra un dirigente. Il fatto che l'ex pm non abbia aperto bocca in difesa dei colleghi palermitani dopo la dura presa di posizione del Colle sul caso D'Ambrosio è la dimostrazione che Di Pietro lo ha capito.

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