Ci risiamo. Sarà pure in tutti i sondaggi il primo partito d'Italia, sarà pure il vincitore annunciato delle prossime elezioni, si sarà pure prenotato palazzo Chigi, ma il Pd, quando si tratta di trovare un candidato presentabile in giro per l'Italia, continua a faticare. L'esempio della Lombardia non è il solo, ma è probabilmente il più significativo.
È vero che il Pd ha storicamente una «questione settentrionale» a rovescio (...)
(...) al proprio interno, e da vent'anni è sostanzialmente emarginato dai governi locali della Lombardia e del Veneto. Ed è altrettanto vero che a questa competizione si presenta con un handicap pesante, perché lo sfidante di Formigoni, due anni fa, si chiamava Filippo Penati. Ma che il (presunto) partito di maggioranza relativa non riesca a trovare un candidato per il Pirellone è a dir poco imbarazzante.
Già nel 2010 i democratici lombardi avevano individuato in Umberto Ambrosoli l'uomo giusto per sfidare Formigoni, ma non se n'era fatto niente per un gentile rifiuto dell'interessato. Oggi Ambrosoli è di nuovo il candidato ideale, e di nuovo ha detto di no. Perché, ha spiegato, la caduta di Formigoni è stata improvvisa, alle elezioni manca troppo poco tempo e di conseguenza «non riuscirei a preparare un programma e una squadra adatti». Parole oneste, che però non hanno affatto dissuaso il Pd lombardo (e quello nazionale) dall'insistere. Per guadagnare tempo, nella speranza che Ambrosoli ci ripensi, il centrosinistra s'è inventato una «maratona delle idee», con tanto di sito web, che dovrebbe partorire un «Manifesto per la Lombardia» attraverso una serie di convegni, seminari, incontri con associazioni, comitati, liste civiche, ambientalisti, e chi più ne ha più ne metta. L'importante è aspettare (e sperare) che Ambrosoli cambi idea.
Lo ha capito una delle (possibili) candidate, il primario della Mangiagalli Alessandra Kustermann: «Mi sembra che Ambrosoli sia stato chiaro: ora concentriamoci su chi c'è». E, infatti, la Kustermann ha già cominciato a raccogliere firme e a giorni lancerà il suo comitato per le primarie. Ma le primarie non sembrano raccogliere troppo entusiasmo, un po' perché i tempi sono ristretti, e un po' perché il Pd nazionale teme in questo modo di ritrovarsi un candidato troppo debole, soprattutto se dall'altra parte ci saranno pesi massimi come Albertini o Maroni.
I possibili candidati del Pd, infatti, hanno tutti in comune la caratteristica di essere assai poco appetibili, elettoralmente parlando: oltre alla Kustermann, sponsorizzata da Gad Lerner ma sconosciuta ai più, ci sono i due consiglieri regionali Fabio Pizzul e Pippo Civati e il consigliere di Sel Giulio Cavalli. Troppo poco, per la regione più ricca d'Italia e per il partito che ambisce a governare il Paese.
La situazione lombarda, del resto, non è affatto unica. Il Pd negli ultimi due anni ha dovuto cedere il passo ad una miriade di candidati esterni e qualche volta ostili al partito: da Vendola in Puglia a Pisapia proprio a Milano, da Doria a Genova a Orlando a Palermo, passando per De Magistris a Napoli, la penisola pullula di sindaci e governatori lontani da Bersani. E il futuro non sembra affatto promettente.
Il crollo della Polverini ha, infatti, colto il partito di Bersani talmente di sorpresa, da costringerlo a dirottare all'ultimo momento verso la Regione l'attuale presidente della Provincia, Nicola Zingaretti, fino ad un minuto prima candidato sindaco di Roma.
Trovata la toppa per le regionali, il Pd si trova in serio affanno per le comunali, che si terranno nella prossima primavera: sfumata la candidatura di Giovanna Melandri, nel frattempo migrata al Maxxi, e assai incerta l'autocandidatura dell'ex mezzobusto del Tg1 David Sassoli, oggi europarlamentare, il Pd continua a corteggiare, con speranze sempre più flebili, il ministro Andrea Riccardi.
A dirla tutta, però, il problema non riguarda soltanto un sindaco o un governatore. Il problema riguarda anche, e soprattutto, il prossimo presidente del Consiglio. L'insistenza con cui praticamente tutti (compreso Berlusconi a giorni alterni) parlano di un Monti-bis dopo le elezioni non deve suonare gradevole alle orecchie del segretario del Pd, che già si vede presidente del Consiglio.
di Fabrizio Rondolino
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