Il Pd trema per il voto in Aula: in agguato trappole e traditori

Bersani vuol rendere riconoscibili le schede dei suoi senatori per evitare brutte sorprese. I grillini dicono no allo scrutinio segreto sul Cavaliere

Il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, a "Porta a Porta"
Il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, a "Porta a Porta"

A Palazzo Chigi ormai lo danno per certo: la crisi non ci sarà, il governo andrà avanti e Berlusconi non lo farà saltare.
Non si sa in che percentuale la previsione sia basata sulla scaramanzia, e in quale sui contatti che le diplomazie sotterranee tengono tra i Palazzi romani e la villa di Arcore, ma i lettiani più vicini al premier ostentano grande sicurezza. Anche se crescono i nervosismi attorno al voto d'aula sulla decadenza di Berlusconi. I Cinque Stelle chiedono a gran voce che venga impedito il voto segreto. E in casa Pd si temono trappole: il dubbio che gli spregiudicati grillini possano seguire le orme di Lega e Rete (che nel '93 «salvarono» nel segreto dell'urna Craxi, per scatenare il bailamme giustizialista) circola. Tanto che si riflette sulle contromisure: «Stiamo studiando il modo di rendere riconoscibile il nostro voto», assicura Pier Luigi Bersani. Peccato che a Palazzo Madama questo non sia possibile, «a meno di non fotografarci uno per uno la mano nella pulsantiera», spiega Francesco Russo, segretario del gruppo Pd. Comunque vada, il contraccolpo politico della decadenza sulla maggioranza sarebbe pesante e difficile da gestire. Per questo, a Palazzo Chigi, si nutre la fervida speranza che quel voto non ci sia, e che il Cavaliere, con il beau geste delle dimissioni, spiani la strada a Letta.
«Enrico governerà ancora per un anno, massimo un anno e mezzo», prevedono i lettiani. E la deadline al 2015 ha una motivazione: «È quello il tempo massimo che potrà reggere un centrodestra senza la guida diretta di Berlusconi. Noi ci auguriamo che il Cavaliere si tiri indietro, ma non troppo, e che dietro le quinte continui ad assicurare la sua leadership: non vogliamo che il Pdl si spappoli troppo presto». Non per bontà d'animo, che in politica non esiste, ma perché - è il calcolo dei Letta boys - dopo aver guidato per un anno e mezzo il governo delle larghe intese, intercettando prima o poi la sospirata ripresa che tutti attendono e che non arriva mai, il premier sarebbe il candidato meglio posizionato per intercettare i consensi in fuga dal centrodestra. E per traghettare anche una parte della classe dirigente pidiellina («Costruendo un asse generazionale e trasversale con i quarantenni») in una nuova coalizione attorno al Pd.
È questa la partita di medio termine che Enrico Letta ha in mente di giocarsi, ed è una partita - almeno nelle sue speranze - che ha una vittima predestinata: Matteo Renzi, ovviamente. Il quale, nel frattempo, farà sì il segretario del Pd (i lettiani lo danno per scontato, e non pensano minimamente a presentare candidati alternativi «che prenderebbero meno voti di Pittella ed esporrebbero il premier a farsi pesare») ma avrà il tempo di logorarsi a puntino nella macchina infernale del partito, e sarà costretto a «spostarsi sempre più a sinistra, strizzando l'occhio a Vendola e perdendo l'appeal che aveva nell'elettorato moderato». Che invece, secondo gli strateghi lettiani, troverà il suo nuovo beniamino nell'attuale inquilino di Palazzo Chigi. «Non sono intervenuto, non intervengo e non interverrò nel dibattito sul congresso Pd», ha tenuto a puntualizzare ieri Letta. Nessun candidato lettiano (tanto meno in condominio con Bersani o altri) e nessun endorsement esplicito a Renzi. Nel frattempo, dietro le quinte, c'è però l'avallo lettiano a tutte le manovre ostruzionistiche che il segretario Epifani e l'ex segretario Bersani stanno mettendo in atto per rinviare il congresso, rendere più farraginose possibili le regole e indebolire la corsa renziana. E c'è un intenso lavorio sul territorio per aggiudicarsi un folto pacchetto di segretari regionali fedeli al premier, che ingabbino Renzi: sono loro, va ricordato, che sceglieranno buona parte dei candidati per il prossimo Parlamento. La melina sulle regole congressuali continua imperterrita. Da parte dell'attuale segretario (con la benedizione di Bersani e Letta)continua il surreale muro di gomma sulla data del congresso, che non viene fissata, e il braccio di ferro sulle modalità di elezione dei segretari regionali si è ulteriormente inasprito.

Renzi propone una decisa innovazione, primarie aperte anche per loro, e punta ad azzerare il ruolo delle tessere, e quindi dei capobastone locali che rispondono alle correnti nazionali e controllano i pacchetti di iscritti (quei pochi che sono rimasti, ma che si moltiplicherebbero prontamente in caso di necessità). Gli altri non ne vogliono sapere.

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