L'esclusione da grande elettore del presidente della Repubblica è solo la punta dell'iceberg. La frattura, una delle tante che agita il Pd, tra Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi rischia di spaccare in due il partito. Il continuo scambio di attacchi al vetriolo getta ancora una volta i democratici in un’atmosfera pre congressuale con Renzi che torna in pressing e si augura che, al netto di un accordo in extremis tra il segretario del piddì e Silvio Berlusconi, si torni alle urne il prima possibile. "Bisogna uscire dallo stallo", è il suo mantra. Stallo del quale Bersani respinge qualsiasi responsabilità.
"Non abbiamo problemi di questo genere", ha assicurato Bersani poco prima di incontrare il leader leghista Roberto Maroni per fare il punto sull'elezione del nuovo inquilino del Quirinale. Il segretario del Pd non accetta di sentir parlare di "scissione". Eppure in via del Nazareno non si fa che di parlare proprio del rischio che il Partito democratico si fratturi in due (o più) realtà diverse. Non c'è solo il sindaco rottamatore a stare con fiato sul collo di Bersani. Il malcontento dilaga. Dopo le prime stoccate affidate (e poi smentite) al Secolo XIX, Rosy Bindi è tornata a concedere un'intervista (questa volata alla Stampa) per prendere le distanze dalle ultime mosse di Bersani: "Non mi ha convinto". Intervenendo ad Agorà, Matteo Orfini ha tuttavia ammesso che la questione della scissione sta emergendo nel dibattito: "Ci sono leader logorati che, evocandola, cercano di mantenere rendite di posizione figlie del passato". La tensione si taglia col coltello. Dal canto suo, Renzi continua a ripetere che non lascerà mai il partito: "Odio i partitini personali e credo nel bipolarismo: nel centrosinistra chi è di centrosinistra e nel centrodestra chi è di centrodestra. Se qualcuno nel Pd spera che io vada via, si sbaglia". Tuttavia, la presenza di Massimo D'Alema a Palazzo Vecchio per un faccia a faccia con Renzi la dice lunga sui movimenti sottocoperta che agitano il Pd.
A una settimana dall’avvio delle votazioni per il Quirinale, Bersani si trova a dover contenere le richieste dei renziani di tornare al voto (anche col porcellum) e di dover rassicurare i malumori delle alte schiere piddì che guardano, inermi, il prosciugarsi dei consensi del partito. L'affaire sull'esclusione del rottamatore dai grandi elettori del Colle e il giallo sulle telefonate da Roma per sbarrargli la strada non fanno altro che gettare altra benzina sul fuoco. Insomma, la leadership di Bersani è sempre più ballerina. Tanto che, secondo una indiscrezione riportata da Libero, starebbe brigando per farsi piazzare al Quirinale. D'altra parte nelle ultime ore, proprio mentre veniva fatto fuori Renzi, il Corriere della Sera pubblicava verbali inediti sulla compravendita della Serravalle per tirare in ballo Massimo D'Alema e tagliarlo fuori dalla scalata al Colle. "Se serve, se sono d’intralcio per favorire la partenza di un nuovo esecutivo, sono pronto a farmi da parte...", avrebbe spiegato il leader del Pd, durante il faccia a faccia con Berlusconi. Sul tavolo sarebbe quindi spuntata la possibilità di abbandonare la corsa per Palazzo Chigi (incarico instabile e precario) per buttarsi su Palazzo Madama assicurandosi sette anni di tranquillità.
Possibilità che non sembra dispiacere nemmeno a Maroni che, durante l'incontro di oggi avrebbe fatto balenare al segretario del Pd anche questo scenario. Scenario che Bersani ha colto in modo assai tiepido l’idea: "Gli unici colli cui penso sono quelli piacentini...".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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