Pdl e Lega, primi sgambetti nella corsa al Nord

RomaLa regina, cioè il Senatùr, si muove dritto e in diagonale, avanti e indietro, per piazzare il colpo finale. Mentre il re, alias il Cavaliere, se ne sta quatto quatto sulla difensiva, in attesa della mossa vincente, che vorrebbe dire anche non uscirne con le ossa rotta. Sulla scacchiera, per adesso, si agitano i pedoni, consapevoli che la partita delle Regionali, tra Pdl e Lega, è ancora tutta da giocare. E poco importa se Umberto Bossi provi di nuovo ad alzare la posta: «Credo che Silvio Berlusconi ci darà diverse regioni». Due o tre? E quali? Si vedrà. Basterà attendere forse una decina di giorni per scoprire il futuro assetto del Nord targato centrodestra. Bisognerà aspettare l’esito del prossimo incontro tra i due leader, in cui, per dirla con le parole del segretario del Carroccio, «si capirà dove si va con le elezioni regionali, che saranno in realtà Politiche».
Per il Senatùr, a onor del vero,l’esito del faccia a faccia sarà comunque scontato: «Troveremo l’accordo». Non c’è motivo di dubitarne: i rapporti tra premier e ministro delle Riforme sono al momento ottimi e l’esperienza del passato spinge a pronosticare l’intesa. Ma su quali basi? E qui l’affare si complica. Perché col piffero che Berlusconi è disposto a cedere agli alleati la Lombardia, blindata e assicurata più volte al governatore in carica e di lungo corso, Roberto Formigoni. Detto questo, non è un mistero l’interesse primario della Lega verso il Pirellone. Tanto da essere disposta a sacrificare l’incarico governativo di un suo numero uno, Roberto Maroni, pur di ottenere la storica candidatura. Voci, per carità, ma di nuovo in circolo. D’altronde, spiega un deputato con la cravatta verde, «dopo l’arroccamento già ottenuto con la conquista delle Province di Brescia e Bergamo, adesso si punta a fare filotto». Operazione che pare non proprio semplice.
Discorso a parte merita invece la corsa alla presidenza del Veneto. La Lega non si accontenterebbe certo di Piemonte (farebbe correre Roberto Cota) ed Emilia-Romagna. E se dovesse rinunciare alla Lombardia, farebbe di tutto per accaparrarsi la poltrona tenuta stretta da Giancarlo Galan, pronto ad allearsi pure con Udc e settori del Pd pur di non dargliela. Grattacapi, per il Cavaliere.
Intanto, Roberto Calderoli rilancia di suo pugno la candidatura di Renato Brunetta a sindaco di Venezia. Un modo per far occupare una casella importante al Pdl - è il ragionamento più attendibile - e indirizzare così verso il suo partito- in virtù degli equilibri di maggioranza - quella del governatore. «No comment» dal diretto interessato. A fissare i paletti ci pensa allora Alberto Giorgetti, coordinatore regionale del Pdl: «L’eventuale candidatura dovrà essere valutata prioritariamente dal Popolo della libertà e dallo stesso ministro Brunetta». Come dire: cari amici leghisti, qui comandiamo ancora noi, dal momento che non ci avete neppure sorpassati alle Europee di due mesi fa. «C’è stata una sfida elettorale e il Pdl si è confermato primo partito - rimarca il sottosegretario al Giornale - Galan sta governando bene da dieci anni e siamo noi a dover indicare chi guiderà la coalizione. È legittimo che la Lega chieda di poter candidare uno dei suoi, ma noi non ci sentiamo certo all’angolo». Certo, «ne discuteremo, ma sono molto fiducioso».
Il pallino è sempre nelle mani di Berlusconi. Ma in casa pidiellina c’è chi azzarda: «Alla Lega andranno Piemonte ed Emilia Romagna, mentre in Lombardia e Veneto resteranno i due attuali presidenti. Non c’è altra strada». Di certo, assicura un ex azzurro di lungo corso, «non avranno due regioni di peso». Sicuro? Magari Veneto e Piemonte? «Ma siamo matti? Vorrebbe dire - risponde il parlamentare - consegnare nelle mani di Bossi, a capo di un partito del 10%, una fetta enorme di forza economica del Nord. I nostri attivisti resterebbero allibiti e ci riderebbero in faccia».
Un rebus niente male. E il quadro si complica se si aggiunge la variabile centrista. Non se ne parla di allearsi con l’Udc, affermano in coro a via Bellerio. «A seconda dei casi», ribatte Gianfranco Rotondi, «il gioco potrebbe valere la candela».

L’importante è «separare il piano nazionale da quello locale». Perché nel primo caso, le eventuali mire di Pier Ferdinando Casini per un ingresso nel governo non sarebbero del tutto illegittime. «Ci mancherebbe solo questo», è il commento però di chi ne fa già parte.

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