Un giorno di tregua. Per non essere additati come quelli che vogliono schierare mezzo Parlamento contro la magistratura e passare così dalla parte del torto e per mandare un segnale distensivo al Quirinale. Per tutte queste ragioni le «colombe» riescono alla fine a far breccia nelle convinzioni di Silvio Berlusconi e si decide così di «congelare» la manifestazione dei parlamentari del Pdl davanti al palazzo di giustizia di Milano.
Parlare di tregua, però, sarebbe sbagliato. Perché ormai il livello dello scontro ha superato il limite del lecito. Semplicemente, il Cavaliere decide di non accelerare, in modo che le diplomazie al lavoro abbiano il tempo di coinvolgere Giorgio Napolitano in quello che tutto il Pdl considera «un accanimento giudiziario senza precedenti». Non è casuale, insomma, il fatto che il vice presidente della Camera Maurizio Lupi chieda esplicitamente «un intervento del capo dello Stato prima che sia troppo tardi». E lo stesso fanno il presidente dei deputati Pdl Fabrizio Cicchitto e il portavoce vicario del partito Anna Maria Bernini. E un'investitura formale del Quirinale dovrebbe avvenire a breve visto che nelle prossime ore il segretario Angelino Alfano, Cicchitto e il presidente dei senatori Maurizio Gasparri dovrebbero salire al Colle per un faccia a faccia con Napolitano.
La tensione, però, resta altissima. E sul tavolo continuano a esserci ipotesi di proteste di piazza (ma non quella davanti al Csm) e la manifestazione di Roma del 23 marzo. Il punto, però, è se focalizzarle o no in chiave anti-pm visto che su questo fronte si scontrano visioni diverse. Già in campagna elettorale, per esempio, Niccolò Ghedini era favorevole a una protesta davanti al palazzo di giustizia di Milano mentre Alessandra Ghisleri, sondaggista di fiducia di Berlusconi, ha sempre sconsigliato. Alla fine non se ne fece nulla.
Se il clima resterà questo, però, nelle ultime ore sono in molti a convincersi che la via dell'Aventino istituzionale sia in qualche modo l'unica possibile. Pare che ieri persino chi ha avuto occasione di parlare con il sempre prudentissimo Gianni Letta l'abbia trovato in qualche modo «comprensivo» sull'intraprendere una simile strada. D'altra parte, spiega un ex ministro che è sempre stato nella pattuglia delle cosiddette «colombe», «se siamo arrivati allo scontro finale dobbiamo combattere fino alla fine». Traduzione: se davvero l'intenzione è quella di far passare un presidente della Camera del Pd (Franceschini) e uno del Senato di Scelta civica (Mauro), allora meglio sfilarsi subito e mettere in chiaro in maniera inconfutabile la propria contrarietà. Aventino, dunque. A partire dalle consultazioni, visto che a oggi l'idea è quella di partecipare solo al primo giro per formalizzare al Quirinale la volontà di tornare al voto a giugno. Poi più niente. E così quando Camera e Senato voteranno i rispettivi presidenti: l'idea è quella di uscire dall'Aula, creando di fatto un vulnus quasi incolmabile rispetto alla seconda e terza carica dello Stato che a quel punto sarebbero elette senza tenere conto della volontà di un terzo del Paese. D'altra parte, spiega un big di via dell'Umiltà molto vicino a Berlusconi, «se ci escludono a priori da qualunque trattativa e ci trattano come fossimo appestati devono assumersi la responsabilità di voler privare il 30% dell'elettorato italiano del diritto di parola».
Siamo alla vigilia, insomma, di uno scontro senza precedenti. Dove politica e giustizia s'incrociano forse come mai era successo prima.
All'ingorgo istituzionale, infatti, si aggiunge l'ingorgo giudiziario del Cavaliere (che entro marzo sarà condannato per Ruby in primo grado e per i diritti tv in appello). Con un Berlusconi convinto che l'obiettivo sia solo uno. «Non ce l'hanno fatta a battermi con il voto ripeteva ieri ai suoi e adesso cercano di farlo con la galera».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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