IL PENSIERO DI NAPOLITANO

Dunque, prima la legge di stabilità, poi le dimissioni. Madamina, il catalogo è questo, spiega Giorgio Napolitano al premier melomane, la scelta è dura ma va fatta, se si vuole sperare di portare a casa la ex-finanziaria e magari qualche altro provvedimento prima del rompete le righe: il tutto senza essere sfiduciato in aula. Il capo dello Stato compila l'agenda di fine legislatura, snocciola l'elenco delle cose possibili. Mario Monti non solo è d'accordo, ma va oltre. «Sono già stato sfiduciato - dice al presidente - meglio se me ne vado ora». Così il tecnico prende tutti in contropiede e si ricandida, Palazzo Chigi o Quirinale fa lo stesso. Nel frattempo si farà bastare l'astensione del Pdl, sopporterà il mal di pancia Pd e reggerà un altro mese. Soltanto uno. A gennaio, le dimissioni. A marzo il voto. Dopo, chissà.
Eutanasia di un governo. Una morte dolce e rallentata, una crisi che Napolitano, a quanto pare e salvo sorprese, è riuscito a ghiacciare, a sterilizzare nei suoi effetti. All'ora di cena, dopo un venerdì di contatti informali e di consultazioni ufficiali, sul Colle spunta Supermario reduce da Cannes. L'incontro serve per cerchiare le date sul calendario, per stabilire le prossime mosse e per prendere atto che il tempo è scaduto. «La dichiarazione resa ieri in Parlamento dal segretario del Pdl - sostiene Monti - costituisce, nella sostanza, un giudizio di categorica sfiducia nei confronti del governo e della sua linea di azione».
Così, non si può più andare avanti. «Non ritengo possibile l'espletamento ulteriore del mio mandato», si legge nel comunicato diffuso alla fine del vertice. Però, al tempo stesso, bisogna andare avanti perché «l'esercizio provvisorio renderebbe ancora più gravi le conseguenze di una crisi di governo, anche a livello europeo». L'Italia va messa in sicurezza, lo spread è pronto ad azzannare. Per questo nei prossimi giorni il Prof farà delle sue consultazioni e verificherà quanto margine di manovra gli resta. «Il presidente del Consiglio - prosegue la nota scritta a quattro mani con il capo dello Stato - accerterà quanto prima se le forze politiche che non intendono assumersi la responsabilità dell'esercizio provvisorio siano pronte all'approvazione in tempi brevi delle leggi di stabilità e bilancio. Subito dopo il presidente del Consiglio formalizzerà le sue irrevocabili dimissioni nelle mani del presidente della Repubblica».
Sembra un'accelerazione, ma è solo politica e non temporale. In realtà potrebbe non cambiare un granché nello scadenzario della crisi, l'orizzonte ipotizzato negli ultimi giorni è più o meno lo stesso. Quella che diminuisce è la possibilità di infilare in extremis delle altre leggi. Anche perché adesso è il Pd a puntare i piedi. «Non possiamo essere i soli a versare il sangue», dicono da largo del Nazareno. Addirittura, il Pd punta quindi a votare a febbraio, insieme alle regionali del Lazio. Ma per licenziare la legge di stabilità serviranno due, forse anche tre letture, passerà tutto dicembre.
E le leggi sospese? Napolitano proverà comunque a farne passare qualcuna. Il decreto sviluppo è a Montecitorio gravato di emendamenti.

Langue alla Camera pure la delega fiscale, mentre il riordino delle Province è già spacciato. Il decreto sull'Ilva ha qualche speranza, come anche la legge di applicazione del pareggio in bilancio. Sanità, spese militari, semplificazioni-bis sono in bilico. E la riforma elettorale? Sepolta.

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