Il più attivo del Parlamento e l'ultimo a spegnere la luce

Il senatore Cristano De Eccher (Pdl) arriva a Palazzo Madama alle 7.30 e non rincasa mai prima delle 23. Insieme col Catilina affrescato da Cesare Maccari, costretto a rimanere lì anche di notte, fa ormai parte della scenografia. Fin dal 2008, quando entrò in Senato per la prima volta, De Eccher è in assoluto l'eletto dal popolo più presente dei due rami del Parlamento: mai mancato a una seduta. Stando alle statistiche dell'associazione indipendente Openpolis, fino a mercoledì scorso aveva partecipato a 6.223 votazioni elettroniche su 6.227, con una percentuale di presenze del 99,94%, battendo così anche il collega di partito Remigio Ceroni, attestato «solo» al 99,87% per aver disertato 14 volte su 10.870 la chiama alla Camera.
Delle 4 votazioni alle quali non ha partecipato, De Eccher ricorda che tre riguardavano un piccolo ritardo durante la verifica del numero legale in apertura dei lavori («normale routine, quindi nessun danno», si consola) mentre una l'ha mancata perché non ha pigiato in tempo utile uno dei tre pulsanti tricolori: verde per il voto favorevole, rosso per quello contrario, bianco per l'astensione. Ma era seduto lì, a presidiare lo scranno, come un soldato.
L'immagine castrense non dovrebbe dispiacergli. Primo parlamentare di destra espresso dal Trentino in 66 anni di repubblica, distintivo delle Frecce tricolori appuntato sul bavero della giacca, cravatta blu d'ordinanza col logo del 150° dell'Unità d'Italia fatta produrre dal Pdl, il senatore De Eccher ha dimostrato fin da giovane una spiccata attitudine per le arti militari. Probabilmente c'entra la genetica, visto che un avo, Giacomo, cadde nella battaglia con cui il 12 settembre 1683 la Lega Santa radunata dal cappuccino Marco d'Aviano, al comando del re polacco Jan III Sobieski, sbaragliò l'esercito ottomano di Kara Mustafa che da due mesi assediava Vienna. Suo padre, Roberto von Eccher ab Echo von Marienberg, discendeva da una famiglia di nobili del Sacro Romano Impero, insediata nel castello di Calavino, fuori Trento, dove tuttora il senatore abita. Sua madre, Maria Teresa de Negri di San Pietro, baronessa, era figlia di Osvaldo, morto nel 1962, che fu consigliere dell'imperatore Francesco Giuseppe I d'Austria. Invece il nonno paterno, Giuseppe, fu internato a Katzneau perché «di sentimenti italiani».
Prima di essere eletto senatore nel collegio di Rovereto-Riva del Garda, De Eccher, 62 anni, è stato fino alla pensione insegnante di scienze naturali, chimica e biologia negli istituti superiori. È entrato nel Popolo della libertà all'atto della fusione tra Forza Italia e Alleanza nazionale, dalle cui file proviene. La fama di recordman del Parlamento è offuscata - «solo sui giornali di sinistra e su Internet, in Senato e in Trentino mi stimano tutti» - dal suo passato di militante dell'estrema destra prima in Avanguardia nazionale e poi nel Msi, che lui peraltro non rinnega, a giudicare dal ritratto di Giorgio Almirante che campeggia nella sede roveretana del Pdl. Colpa di 78 pile elettriche che nel 1973 furono sequestrate dai carabinieri nella sua abitazione: la rivista Micromega ha scritto che De Eccher sarebbe stato «nientemeno che il custode dei timer di piazza Fontana». Il senatore ha un fremito d'indignazione: «Ha scritto anche che a 23 anni la mia vita s'incrociò con quella del pm Gerardo D'Ambrosio, che all'epoca ne aveva 43 e indagava sulla strage e che oggi siede con me sui banchi di Palazzo Madama. Falso. Non sono mai stato né sentito come persona informata sui fatti né tantomeno indagato per l'attentato di piazza Fontana. Usavo le pile per il mangiadischi. Siccome erano di vari colori, le avevo disposte sulla scrivania a mo' di puzzle. Le pare che se fossero servite per confezionare un ordigno a orologeria le avrei lasciate in bella mostra? Ho riportato un'unica condanna, ideologica, per tentata ricostituzione del partito fascista. L'aspetto più paradossale è che mi fu irrogata sulla base di frasi che avevo tratto dalle opere di Platone. Comunque stiamo parlando di vicende chiuse 40 anni fa».
Però ha presentato un disegno di legge costituzionale che abolisce il reato di apologia del fascismo.
«Penso che siano maturi i tempi di una pacificazione nazionale. Perché non si dovrebbe intervenire su una norma transitoria che per sua stessa natura era destinata, secondo la volontà dei padri costituenti, a valere per un tempo limitato? Perché non si può garantire la libertà di pensiero a chi intenda esprimere una posizione diversa su un periodo storico? Il senatore Luigi Compagna, figlio del compianto ministro del Pri, Francesco, ha condiviso in pieno la mia iniziativa pur provenendo da una famiglia di antifascisti. E del resto ci sarà un motivo se il 53,2% dei partecipanti a un sondaggio sul sito del Corriere della Sera s'è dichiarato favorevole a sostituire il 25 aprile, festa della Liberazione, col 18 aprile, ricorrenza della sconfitta del Fronte popolare alle elezioni del 1948».
Com'è riuscito a farsi eleggere in Senato?
«Per cinque anni sono stato uno dei 35 consiglieri della Provincia autonoma di Trento. Una televisione locale mandava in diretta le nostre sedute. Mi sono fatto conoscere dalla gente parlando anche per quattro ore di seguito delle assurde delibere approvate dalla giunta presieduta dall'onnipotente Lorenzo Dellai, l'ostetrico della Margherita».
Per esempio?
«Cito a memoria. Contributi a pioggia a sodalizi come Italia-Cuba e Filorosso; tre dipendenti della Provincia pagati per occuparsi del Mozambico; 300.000 euro all'Unione donne del Vietnam, emanazione del locale partito comunista; 250 euro l'ora per organizzare corsi di danza per reclusi immigrati; 2,25 milioni di euro concessi in tre anni a 9 cooperative che si occupavano del reinserimento degli ex detenuti. Non è finita: 15 appartamenti nella sola Trento messi gratuitamente a disposizione di minori stranieri, responsabili della devastazione delle case popolari loro assegnate. Dopodiché ho scoperto che la stessa Provincia spendeva per ciascun appartamento altri 150.000 euro di stipendi agli educatori che avrebbero dovuto in teoria civilizzare i giovanissimi vandali. Ricordo d'aver chiesto il curriculum di una persona cui era stata affidata una consulenza. Si componeva di due righe: “Diploma liceo scientifico, conoscenze base di Word”».
È già qualcosa.
«Aggiunga i 5-6 milioni di euro per i progetti di solidarietà a favore dei nostri emigrati all'estero. Ho mandato a mie spese in Argentina e Paraguay un giornalista, Lorenzo Montanari, per vedere che fine facevano questi fondi stanziati dalla Provincia. Risultato: le serre modello che avrebbe dovuto trovare a Quitilipi, nella provincia del Chaco, erano abbandonate da un anno. E la persona che in Paraguay avrebbe dovuto assistere le famiglie bisognose era inseguita da un mandato di cattura internazionale. La Procura della Corte dei conti ha aperto un'inchiesta».
Come definirebbe la vita del parlamentare?
«Pesante. Dal venerdì al lunedì sono sul territorio. Il martedì sveglia alle 4. Treno, cambio a Verona, Frecciargento per Roma. Rientro il giovedì alle 21 o alle 22. Le giornate non finiscono mai. In Senato alle 7.30. A quell'ora siamo non più di cinque o sei. Alle 8 apre la buvette. Colazione. Rapida lettura dei giornali. Alle 8.30 si va nelle sottocommissioni. Dalle 9.30 fino alle 13 o 13.30 in aula. Il più delle volte arriva un Sms: “Panini in loco”. Significa che non c'è tempo per pranzare, perché cominciano subito le sedute delle commissioni. Io sono inserito in due. Più due sottocommissioni. Più la commissione prezzi, dove spesso mi chiamano a sostituire colleghi assenti. Si resta lì fino alle 16.30. Poi riprendono i lavori in aula, che di norma finiscono alle 20.30 o alle 21. Vado a cena con i colleghi. Mezz'ora, non di più».
Almeno finisce in bellezza.
«Macché finisce. Dopo cena mi attende il lavoro nel mio ufficio al Senato, in piazza Cinque Lune. E lì è una tragedia, perché sono l'unico che resta fino alle 23. La prima volta mi ha citofonato l'usciere: “Senatore, se ne sono andati tutti”. Embè? Un'altra volta mi hanno spento le luci e m'è toccato smoccolare con tutto il fiato che avevo in gola. La terza volta ho detto al commesso: senta, lei se vuole vada via, la porta sono capace di chiuderla da solo. È rimasto interdetto».
Tutto congiura per non farvi lavorare.
«Sono stato convocato in Senato in pieno agosto. Ero in vacanza sull'isola del Giglio. Ho preso il traghetto, ho guidato sino a Fiumicino, sono salito su un taxi e mi sono presentato. Il mese scorso ho rifiutato una visita a Cipro con la commissione politiche europee perché includeva il martedì, giorno in cui c'è lavoro in aula. Eppure si trattava di una missione ufficiale, sarei stato assente giustificato».
Ai colleghi assenteisti che farebbe?
«L'ho già detto a Maurizio Gasparri, presidente dei senatori del Pdl: bisogna almeno togliergli l'indennità di 2.090 euro che riceviamo dal gruppo parlamentare».
Ne conosce qualcuno che latita?
«Fra i senatori in generale? Be', a parte quando è costretta a presiedere la seduta in qualità di vicepresidente del Senato, Emma Bonino non si vede quasi mai».
Secondo Openpolis, alla Camera si lavora in media 2,4 ore al giorno, al Senato addirittura 1,4 ore.
«Quel calcolo è fatto solo sulle ore di assemblea».
E se il Movimento 5 stelle vi spazza via?
«Dia retta a me: alle urne gli elettori cercheranno soluzioni serie. Alla fine Beppe Grillo non beccherà più del 10%. Rifletta: chi sono i leader grillini della sua città? Io a Trento non ne conosco uno. E allora come potrei votarlo?».
Che dice la gente quando dichiara d'essere senatore?
«Oltre 100 di noi, cioè il 10% dei parlamentari, hanno cambiato casacca, abbandonando il partito con cui si erano presentati alle urne. Le risulta che qualcuno li abbia censurati? Gli elettori non sono migliori degli eletti. Non ho mai dichiarato di considerarmi al servizio della gente. Mi accontento di rimanere fedele a quei valori per i quali ho chiesto il consenso».
E cioè?
«Valori di trascendenza e di appartenenza. Quindi dimensione spirituale della vita, rettitudine, coerenza, lealtà, dignità, fedeltà alla parola data e difesa della famiglia, della comunità locale e della patria, che per me è terra dei padri, quindi luogo di memoria e di identità».
Il suo tenore di vita è migliorato da quando siede in Parlamento?
«È rimasto invariato».
Non direi: nel 2010 ha dichiarato 140.348 euro, nel 2011 erano diventati 163.407. Un aumento del 16,43%. Il reddito degli italiani è salito del 6,2% in dieci anni.
«Tolga 50-60.000 euro versati al Pdl che si possono detrarre solo al 19%. Tolga i contributi alle associazioni d'arma, come carabinieri in congedo e carristi, che finanzio di tasca mia. Su questo punto faticano ad attaccarmi. Da consigliere provinciale guadagnavo 7.200 euro al mese e ne spendevo 5.500 per Alleanza nazionale. Pagavo con fondi di famiglia tre sedi del partito: Riva del Garda, Tione e Vigo Cavedine».
Come Gianfranco Fini a Montecarlo.
«Non mi parli di quel traditore! Di tutte le cose brutte che potranno capitargli, nessuna sarà sufficiente a punirlo per il discredito che ha gettato sulla destra con la vicenda della casa nel Principato di Monaco».
Lei ha chiesto al presidente del Consiglio in che modo intenda «tutelare i minori contro l'egoismo di genitori che hanno avuto dei figli senza rispettare la legge naturale». Può spiegarsi meglio?
«Ho letto che il ministero della Salute ha commissionato all'Arcigay un'indagine conoscitiva su quanti bambini crescono in famiglie con due genitori dello stesso sesso. È risultato che sono 100.000. Una cifra enorme. Ho chiesto al governo perché non tuteli questi minori che hanno diritto a essere cresciuti da un padre e una madre. Da Ferruccio Fazio, all'epoca ministro della Salute, non ho avuto alcun riscontro. Non rispondono mai. Di recente ho mandato un telegramma al ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri, per sapere come intendesse difendere dalla persecuzione mediatica i poliziotti che all'aeroporto di Fiumicino avevano sigillato col nastro adesivo la bocca di due immigrati clandestini. Lo sa o no, la responsabile del Viminale, che quei due individui si erano morsicati a bella posta la parete interna delle guance per sputare sangue e saliva contro gli agenti? Niente, non ha replicato nulla».
Senta, ma nelle 6.223 votazioni alle quali ha partecipato s'è sempre uniformato alla disciplina di partito?
«Eh no, in 186 occasioni ho votato di testa mia. Per esempio, ho cercato invano di fermare lo stanziamento di 115 milioni di euro previsti anche per l'esercizio finanziario 2012 a favore dell'editoria.

Le pare che potevo approvare una regalia di 999.293 euro, quasi un milione, alla testata Il Romanista, che si definisce “il quotidiano dei tifosi più tifosi del mondo”?».
(618. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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