RomaLe «larghe intese» no, non si può, sa troppo di inciucio. Lasciamo perdere pure «l'unità nazionale»: la formula è logora. E non parliamo di «responsabilità», perché il Colle di responsabili in giro ne vede pochini. E allora? Allora il prossimo potrà forse chiamarsi «governo di convergenza per lo sviluppo». Lo schema ricorda le convergenze parallele di Aldo Moro, ma del resto la situazione italiana è molto simile: anche oggi il problema è di governare l'ingovernabilità mettendo insieme diavolo e acqua santa.
C'è ancora un mese prima delle elezioni, c'è ancora un italiano su tre che non ha deciso per chi votare, eppure il presidente della Repubblica si è già portato avanti il lavoro. La crisi è tutt'altro che passata e l'Italia non può permettersi di non avere una maggioranza solida e in grado di varare quella decina di leggi necessarie per evitare il patatrac. Perciò dopo il voto Giorgio Napolitano, se non ci sarà un vincitore netto, lavorerà per coinvolgere nel «perimetro delle riforme» anche il secondo arrivato. Cioè, stando ai sondaggi, il Pdl. Spazzato il campo da patrimoniali e tagli di tasse, il programma s'incentrerà sul controllo dei conti, i sostegni alle imprese, le riforme, la nuova legge elettorale. E in un tale scenario, i centristi diventerebbero marginali.
Contatti, giri d'orizzonte, abboccamenti. Al Quirinale, dove il pareggio viene ormai dato per scontato, stanno quindi preparando il piano B. Bersani, come dicono i sondaggi, dovrebbe prevalere alla Camera, ma per controllare il Senato forse non gli basterà nemmeno un accordo con Monti. Napolitano ha spiegato che il prossimo governo dovrà ripianare i conti e fare le riforme: in questa cornice, è impensabile non coinvolgere il Cav.
Certo, sarà una mediazione difficile. Il capo dello Stato, dopo aver fatto decantare le vinacce prodotte dalla campagna elettorale, dovrà calibrare il giusto bouquet e assicurare stabilità al Paese. «Poiché vige un sistema bicamerale, si può governare solo la maggioranza in entrambe le Camere - dice Pier Ferdinando Casini, che spera di essere della partita - in caso contrario, Napolitano aprirà le consultazioni e cercherà di capire qual è l'altra strada».
Ma il leader dell'Udc probabilmente non ha fatto bene i conti. Intanto perché il Professore, agli occhi del capo dello Stato, scendendo in campo ha perso gran parte delle sue qualità di «risorsa della Repubblica» e delle sue caratteristiche di punto di mediazione. A Torino per i dieci anni della scomparsa di Gianni Agnelli, Napolitano è stato chiarissimo: l'Avvocato, nominato da Cossiga senatore a vita, «mostrò di intendere il riconoscimento pienamente nel suo significato e nel suo valore». Monti invece non è comportato nello stesso modo.
Poi c'è un punto politico più generale. Sempre a Torino, il capo dello Stato ha ricordato l'asse portante del suo settennato: «La sfida non risolta nel passato e ancor più scottante nel tempo presente è per noi riformare il Paese tenendolo unito». La ricetta per riuscire è libera e affidata alle visioni dei partiti, ma sull'obbiettivo, «il rinnovamento dello Stato e della società», non si transige.
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