Milano Meno galera. Perché la lotta al crimine- grande o piccolo che sia - non passa obbligatoriamente per il carcere: specialmente per il carcere preventivo, quella pena che si sconta prima ancora di essere processati e magari assolti. A chiederlo all'Italia è stata la Corte europea dei diritti dell'Uomo, dopo avere preso atto delle condizioni desolanti in cui versano le prigioni italiane. E a fare proprio l'appello è un magistrato non sospettabile di eccessi di garantismo: Edmondo Bruti Liberati, procuratore della Repubblica a Milano. Ieri Bruti dirama un ordine di servizio a tutti i suoi pubblici ministeri riportando i passi salienti della sentenza che ha condannato l'Italia per avere violato i diritti fondamentali di sette detenuti, con la Corte che invita l'Italia «a sollecitare i procuratori e i giudici a ricorrere nella misura più larga possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso un minore ricorso alla carcerazione».
Scrive Bruti ai pubblici ministeri: «Sono certo che tutti i magistrati della Procura della Repubblica terranno nel massimo conto, sia in tema di misure cautelari che in fase di esecuzione, gli auspici della Corte europea dei diritti dell'uomo».
Di fatto, con le poche righe che chiudono la missiva, Bruti apre un doppio fronte. Uno riguarda i condannati con sentenza definitiva, il tema venuto alla ribalta con il caso di Alessandro Sallusti: ieri il procuratore ribadisce che anche «in fase di esecuzione» bisogna limitare quanto possibile il ricorso al carcere. Bisogna per esempio, come nel caso del direttore del Giornale (che ha visto Bruti in contrasto con diversi pm del suo ufficio, schierati sulla «linea dura») concedere gli arresti domiciliari a chi deve scontare una breve pena, anche se non ne ha fatto domanda. Ieri il procuratore conferma però che non si parla di grandi numeri, e che ragionevolmente in un anno a godere del «trattamento Sallusti» saranno a Milano non più di una cinquantina di condannati.
Ma il fronte decisivo è il primo cui fa riferimento Bruti, quello delle «misure cautelari», dei detenuti in attesa di giudizio. Sono soprattutto questi detenuti a stivare all'inverosimile il carcere milanese di San Vittore. Ieri il procuratore lancia una moral suasion ai magistrati che lavorano con lui: usiamo il carcere un po' meno, chiediamo meno mandati di cattura. Bruti tiene poi a precisare che la Procura milanese starebbe già andando in questa direzione, perché nell'anno giudiziario 2011-2012 le richieste di misura cautelare sono scese del 4 per cento.
Questo dato però tiene al suo interno anche i «domiciliari». Mentre proprio le statistiche dicono che la i pm milanesi continuano ad avere le manette facili: le richieste di custodia cautelare in carcere nell'ultimo anno sono sensibilmente aumentate, da 1.367 a 1.453. Ma a gonfiare la statistica, fa presente Bruti, hanno contribuito in modo decisivo le grandi retate contro la 'ndrangheta al Nord.
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