RomaLa governatrice del Lazio, Renata Polverini, è rimasta appesa a un filo fino a tarda sera. La giunta ha traballato: i consiglieri di opposizione di Pd, radicali, Sel e Idv hanno deciso di sbattere la porta e dimettersi in blocco, sperando di farla cadere. Anche Bonelli (Verdi) si diceva disponibile alle dimissioni. L'Udc tentennava mentre, in serata, la stessa Polverini è andata a palazzo Chigi da Monti, prima della partenza del premier alla volta degli Stati Uniti. E le voci delle sue dimissioni tornavano a essere insistenti, finché verso le 23 la governatrice non usciva dal colloquio chiarendo che si era limitata a «informare» Monti. Poco prima della mezzanotte un documento firmato da tutti i capigruppo della maggioranza, Udc compresa, confermava «orgoglioso» sostegno a una presidente di Regione onesta e determinata, incitandola a proseguire nell'incisiva azione di governo fin qui svolta».
Ma ieri è stata la giornata del grande pressing ai centristi affinché mollassero la governatrice. Dopo le dimissioni in massa dei consiglieri di centrosinistra, il gruppo Udc diventava decisivo: visti i numeri alla Pisana, (le opposizioni hanno solo 27 consiglieri, per far decadere il consiglio e la giunta ne servono 36) la testa della Polverini era nelle loro mani. «Il Lazio deve voltare pagina per il rispetto alle istituzioni ed ai cittadini che hanno bisogno di un governo serio e credibile - ha esordito Beppe Fioroni del Pd - chiedo a Casini, che con correttezza e coerenza sostiene il governo Monti con la sua politica di rigore e legalità contro ogni spreco e malversazione di denaro pubblico, di essere altrettanto coerente nel Lazio. Serietà vuole che non si possa sostenere contemporaneamente Monti e l'amministrazione Polverini». E quindi: «Sia coraggioso e stacchi la spina, voltiamo pagina per il bene del Paese». Un pressing che aveva nel centrista Buttiglione il ventre molle dei centristi: «La Polverini farebbe bene a lasciare. Non si può far finta di nulla. Credo che abbia sbagliato a restare lì dov'è - aveva detto in un'intervista Buttiglione - avrebbe fatto meglio a dimettersi per la dignità sua e di tutta la politica». Però poi aveva chiarito che quella era una posizione «personale». Avrebbe deciso Casini.
Una vera patata bollente, come hanno ammesso anche i piddini. Ma i centristi rivendicano autonomia e, anzi, rispondono per le rime ai bersaniani: «Tuttavia, la linea è quella di andare avanti. Il Pd non può ergersi a moralizzatore e - fanno filtrare dal partito - la scelta dei nostri di andare avanti è una loro assunzione di responsabilità che rispettiamo». E Casini: «Questa polemica del Pd mi fa scappare da ridere. Si sono accorti solo adesso?». Anche Lorenzo Cesa è duro con il Pd. «Chi oggi chiede le dimissioni, guarda caso, presiede con un suo esponente il comitato regionale di controllo su quello che accadeva nei gruppi consiliari. Ognuno si faccia un bell'esame di coscienza...».
A spingere per lo stacco della spina, anche un vecchio amico di Casini, come Marco Follini: «Per me resta un mistero perché continuiate ad appoggiare la Polverini». E Michele Meta ricorre addirittura all'incenso: «Pure la Cei ha stigmatizzato lo scandalo Lazio. Mi auguro che, così come hanno già deciso le attuali opposizioni, anche uomini delle istituzioni come Casini sappiano dire basta a questo insopportabile degrado». Sembrava che proprio la posizione della Chiesa, con la dura presa di posizione del cardinale Angelo Bagnasco, potesse spingere Casini verso una posizione più vicina al pollice verso. In serata un intervento su Twitter del leader Udc diceva però: «Correttezza impone che si decida con gli amici laziali. Pensando ai nostri elettori e all'Italia che vogliamo costruire». Alla fine ha prevalso la compattezza della maggioranza.
A nulla è valsa la determinazione dei radicali: «Le nostre dimissioni possono essere considerate acquisite», ha detto il capogruppo dei Radicali in Regione, Giuseppe Rossodivita, intervenendo a Tgcom 24.
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