RomaMonti, dallEstremo Oriente, fa il samurai e sfodera la spada: «Se il Paese, attraverso le sue forze sociali e politiche, non si sente pronto per quello che noi riteniamo un buon lavoro non chiederemmo di continuare per arrivare a una certa data». Una dichiarazione muscolare che sa di minaccia. Attenzione, è il senso delle sue parole, non siamo attaccati alla poltrona e se non vi piace la nostra ricetta siamo pronti ad andarcene. Traduzione: sulla riforma del mercato del lavoro il governo non è disposto a scendere a patti tanto da snaturare il testo uscito da palazzo Chigi e già si vede la fiducia allorizzonte. Un messaggio rivolto soprattutto a Bersani e al suo Pd, refrattari a votare la riforma così comè. «A noi è stato chiesto di fare unazione nellinteresse generale», spiega il premier che poi cita una celebre frase di Andreotti: «un illustrissimo uomo politico diceva: meglio tirare a campare che tirare le cuoia. Ma per noi - conclude - non vale nessuna delle due espressioni perché lobiettivo è molto più ambizioso della durata, ed è fare un buon lavoro». Il governo sarebbe pronto a fare harakiri? Non proprio, visto che lo stesso Monti afferma: «Rifiuterei il concetto stesso di crisi» e in fondo «finora il Paese si è mostrato più pronto di quello che immaginassi e se qualche segno di scarso gradimento cè stato è andato verso altri protagonisti del percorso politico. Ma non verso il governo». Il suo riferimento è ai partiti e lo fa capire anche quando parla dei colloqui avuti con investitori privati e istituzionali i quali hanno «il palpabile desiderio di capire se, come e quanto intensificare i loro investimenti in Italia», timorosi del ritorno di «vecchi vizi» come linvadenza della politica nelleconomia. Monti confida di farcela: «alla fine di questo test, quando la politica tradizionale tornerà, non sarà quella tradizionale».
E perfino da Bagnasco arriva un monito in questo senso: «Tutti i partiti devono rinnovarsi e non hanno alternativa se vogliono riassumere direttamente nelle loro mani la guida del Paese». Il presidente della Cei dice la sua anche sul welfare: «Dal governo sono attese soluzioni sospirate da anni. Come vescovi chiediamo di tenere insieme equità e rigore».
Insomma, adesso la politica deve dare buona prova di sé, approvando la riforma del mercato del lavoro che il premier difende a spada tratta: «Sento il peso di decisioni non facili dettate dal fatto che la situazione dellItalia era piuttosto grave - confida - Ma abbiamo cercato di essere equi nel distribuire i sacrifici per risanare lItalia». Una riforma che va bene così, insomma. Gli spazi di manovra per qualche modifica al testo ci sono ma sembrano minimi: «Ci rendiamo conto delle difficoltà di ciascuno, e ci rendiamo conto che alla fine deve essere il Parlamento a decidere - dice Monti - Ma allo stesso tempo è dovere dellesecutivo prospettare al Parlamento le ragioni per le quali cercheremo di avere un risultato finale in tempi non troppo lunghi e che sia il più vicino possibile a quanto abbiamo presentato».
Il più vicino possibile vuol dire rivedere anche larticolo 18, fonte di scontro con la Cgil? Sul punto il ministro Fornero è chiarissima: «Modifiche se ne possono fare, ma il governo non accetterà che questo disegno di legge venga snaturato o sia ridotto in polpette». Termine che fa sorridere, ma che Monti condivide: «Con me non ha usato lo stesso termine ma sì, certo, dobbiamo evitare che ne facciano polpette». E ancora la Fornero: «Sullarticolo 18 il senso della nostra riforma è chiaro - dice a Repubblica - Nei licenziamenti per motivi economici oggettivi è previsto lindennizzo e non il reintegro». Stop.
Ma in agenda non cè solo il lavoro. A Seul, Monti affronta pure la questione dei due marò, detenuti in India, e del connazionale Paolo Bosusco, ancora in mano ai ribelli maoisti. «Il premier indiano Manmohan Singh mi ha assicurato che farà tutti gli sforzi da parte indiana per liberarlo».
Il premier avverte il Pd: pronto a lasciare
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