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Il premier rinvia l'alleanza con il giornalista per non fare sgarbi a Futuro e libertà

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RomaSul Foglio di ieri veniva spiegato chiaramente: ora che non si candida più, che non scende (o non sale) in politica, Luca Cordero di Montezemolo si sente più sereno. Come se si fosse liberato di un peso. Come se avesse appena partorito quattro gemelli. Questa però è l'unica nota certa sul fronte politico dei centristi. I sodali di Montezemolo sembrano ancora muoversi in ordine sparso. E i tatticismi sono ancora preferiti ai programmi elettorali. È forse per questo che il no di Monti (o di chi gli gestisce l' agenda politica) a Oscar Giannino è letto da alcuni come l'esigenza di non muoversi troppo in anticipo sui vincoli di programma. Il giornalista economico è stato fin troppo chiaro: mi candido soprattutto per combattere l'eccessivo peso fiscale, vero freno all'economia. Un'alleanza con lui in questo momento sarebbe prematura ed è per questo che la lista «Fare per Fermare il declino» di Giannino non ha ancora ottenuto alcun apparentamento. Ci sono però i maliziosi che invece ipotizzano altre ragioni dietro questo rifiuto (o meglio dietro questo silenzio) montiano. Dietro il no a Giannino ci sarebbe, dicono, lo zampino di Gianfranco Fini. Il leader di Futuro e Libertà è ben consapevole della debolezza delle sua lista e vorrebbe quindi sfruttare il Porcellum là dove consente alla lista più gracile della coalizione un recupero elettorale nonostante lo sbarramento al 4%.
Il fondatore di An ha poi dovuto ingoiare un rospo indigesto. A porgerglielo su un piatto d'argento ci ha pensato Peppino Calderisi, deputato del Pdl e membro della Commissione Affari costituzionali. Niente liste separate con lo stesso logo («Con Monti per l'Italia»). «L'articolo 14 della legge elettorale - spiega Calderisi - vieta di utilizzare all'interno di più contrassegni lo stesso logo, o comunque “le stesse espressioni letterali costituenti elementi di qualificazione delle finalità politiche connesse al partito di riferimento”». «Casini e Fini se ne facciano una ragione. Se proprio vogliono presentare liste diverse alla Camera, anche i contrassegni devono esserlo, non possono utilizzare al loro interno lo stesso logo o riferimento a Monti». Se il logo è un problema per Casini e Fini, le liste sono un grattacapo non da poco per Enrico Bondi. L'ex curatore fallimentare di Parmalat, incaricato di vagliare la «presentabilità» dei candidati, deve trovare una soluzione ad alcuni problemi di forma che rischiano di divenire problemi di sostanza. C'è lo sbandierato (dal Corriere) caso di Lorenzo Cesa. Il segretario dell'Udc ha dovuto cedere quote consistenti di una srl che, ottenuto in gestione l'Auditorium Conciliazione a Roma, ha negli anni usufruito di finanziamenti pubblici. Tutto regolare, ovviamente. Tuttavia col giro di vite sul conflitto di interessi anche la posizione di Cesa è divenuta scomoda. Motivo per cui Casini sarebbe intenzionato a resistere alle pressioni del Professore sull'ipotesi di una lista unica. Tra le candidature in bilico spiccano poi quelle di Linda Lanzillotta, Renzo Lusetti e Lucio D'Ubaldo, ex senatore Pd, ideatore della lista «Popolari democratici per Monti». I tre sarebbero per molti impresentabili per i loro contenziosi con la Corte dei Conti.

Un altro braccio di ferro è quello che oppone Andrea Riccardi, referente del mondo cattolico, ai vertici di Italia Futura, sulle candidature per la cosiddetta lista civica che dovrebbe convogliare oltre a Andrea Oliviero (Acli) anche i gruppo degli ex Pdl, guidati da Giuliano Cazzola.

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