C'è un legame tra la vicenda Berlusconi e la legge di stabilità, e non riguarda solo l'omicidio politico che i presunti alleati di governo stanno per perpetuare votando tra qualche settimana la decadenza del Cavaliere. Oltre al fatto in sé, c'è una questione di metodo: l'insipienza con cui l'attuale governo si è rapportato al caso Berlusconi è la stessa con cui ha elaborato la legge di Stabilità. Questa legge non ha un profilo chiaro o, meglio, è priva di un'identità programmatica. Non ha i caratteri di un progetto, come è ovvio, che guarda o sul versante moderato, o su quello di sinistra. Ma non è neppure una legge coniugabile con un governo di larghe intese: manca l'ambizione, la mission drammatica, per reagire alla crisi, ci si accontenta di gestirla. Un governo di larghe intese, ad esempio, potrebbe promuovere una rivoluzione fiscale sul modello americano, in cui i contribuenti possano scaricare proprio tutto, fino all'ultimo scontrino: sarebbe un modo innovativo per combattere l'evasione. Oppure un progetto efficace, che accompagni - come predica un gran numero di economisti italiani e non - un rilevante taglio della spesa pubblica a un importante alleggerimento delle tassazione. Un piano importante che potremmo mettere sul tavolo europeo per rendere meno rigido il tetto del 3%. Siano queste le idee o altre, l'importante è avere traguardi alti. Proprio per dare dei connotati forti al governo. Magari puntando anche a un orizzonte più lungo rispetto a quel 2015 che il premier si dà quotidianamente. Invece niente. Ci si limita al piccolo cabotaggio, perché è l'unico modo per coprire le contraddizioni che minano questa strana alleanza. Anzi, peggio, dimenticando che in ogni Paese a democrazia avanzata la legge di stabilità è l'atto principale di un esecutivo, quello che ne definisce l'identità, il ministro Saccomanni tra una trattoria e l'altra, tra una battuta di cattivo gusto e una scema, ha mandato in Parlamento più che una legge, uno schema, aperto agli oltre tremila emendamenti presentati dai partiti. Un atteggiamento inconcepibile e insidioso: il governo ha aperto il confronto ben sapendo che alla Camera l'ala sinistra delle larghe intese può disporre di una maggioranza autonoma di «garanzia» rispetto all'ala moderata. Per cui c'è il rischio che da questo processo esca fuori una legge di stabilità fatta a toppe, per la maggior parte di un colore rosso sbiadito. Una dopo l'altra, infatti, le proposte forti del centrodestra, come quella sulla casa, vengono snaturate e rimodulate verso il basso; quelle più marginali, come la vendita, delle spiagge demaniali, finiscono in un vicolo cieco; e, infine, i tagli di spesa vengono accompagnati dal clausole di salvaguardia che stabiliscono nuove imposte nel caso il governo e il Parlamento non riescano a raggiungere i loro obiettivi. Una strana logica per cui se la politica è incapace, il danno ricade sui contribuenti. Appunto, quel piccolo cabotaggio, che per le larghe intese è una contraddizione in termini. Una visione modesta, per non dire mediocre, che il governo comincia a pagare. Pesantemente. Negli ultimi mesi, infatti, l'indice di gradimento del governo è precipitato. È un dato segnalato da tutti i sondaggi in circolazione. Di fatto, il governo Letta ha assunto la parabola declinante che caratterizzò il governo Monti nella sua ultima fase di vita. Il centrodestra ha già corso questa brutta esperienza: un anno fa ha rischiato di estinguersi nel tentativo di sostenere il governo Monti anche contro i sentimenti del proprio elettorato. Si salvò per miracolo grazie ai riflessi, diciamo, politici, del presidente Berlusconi che abbandonò quel governo in tempo per evitare la catastrofe, ma non in tempo per vincere le elezioni. Con il governo di larghe intese, però, non si può dare la colpa ai tecnici. Se questo equilibrio inconcludente naufragherà nel gradimento della gente, irromperà sulla scena uno schema diverso, esplosivo per la stessa tenuta delle nostre istituzioni: politica contro anti-politica. Quest'ultima, ovviamente, avrà il suo maggior interprete in Grillo, il quale, però, lancerà il suo attacco sul versante moderato o di destra. Le sue ultime mosse rendono palesi le sue intenzioni: difesa della legge Bossi-Fini, i segnali ai lepenisti, polemiche contro l'Europa, contro Napolitano. Per cui se il centrodestra sbaglia i tempi del disimpegno nei confronti di un quadro di governo che sta andando in crisi, rischia di non aver nessun ruolo in commedia nel prossimo futuro. Già, nell'inconsapevolezza generale si passeggia sull'orlo del precipizio. Se il Cavaliere sta per decadere al Senato, il centrodestra rischia di decadere nel cuore del suo elettorato. I due pericoli si sommano. E per superare questa congiuntura negativa l'area moderata ha un'unica strada stringersi al suo elettorato, rappresentare gli interessi di quella parte del Paese su un programma chiaro e un'identità forte. Non c'è altro mezzo. Elementi di cui non c'è nemmeno un lontano eco in questa legge di stabilità, che propone una singolare equazione: deve essere mediocre per permettere a questo governo di sopravvivere; ma, nel contempo, se è mediocre il governo rischia di sopravvivere a scapito della sua anima moderata. A meno che Berlusconi e il suo partito non abbiano la forza di distinguersi, magari dopo aver fatto una battaglia sulle tasse (a cominciare da quelle sulla casa) e sui tagli di spesa. Una legge di Stabilità modesta più la possibile decadenza del Cavaliere possono, infatti, essere un cocktail letale.
La fantasia della politica lascia aperte tante strade per distinguersi nei momenti topici: si può anche sostenere il governo senza starci dentro, il cosiddetto appoggio esterno. Un modo per dare un'altra chance a Letta senza rischiare di essere travolti dal crollo delle sue ambizioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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