Presentata un'istanza per «gravi pregiudizi» contro il magistrato milanese Maria Teresa Guadagnino il caso

MilanoQuando è troppo è troppo. Il giudice Maria Teresa Guadagnino faceva parte del collegio che nei giorni scorsi non solo ha condannato Silvio Berlusconi a 4 anni per il caso Mediaset ma ha anche espresso, attraverso le motivazioni del verdetto, parole durissime nei confronti del Cavaliere. Naturalmente, quelle frasi sono state condivise dagli altri due colleghi, ma questa volta c'è un problema in più: Maria Teresa Guadagnino fa anche parte del collegio che deve giudicare l'ex capo del governo in un altro procedimento, in corso sempre a Milano, quello sullo scoop del Giornale che pubblicò il 31 dicembre 2005 la famosa intercettazione fra Piero Fassino e Giovanni Consorte. Per quella vicenda Berlusconi è imputato di rivelazione di segreto d'ufficio e il suo legale, convinto di trovarsi davanti a un magistrato che è già orientato verso la condanna, mette le mani avanti e gioca la carta della ricusazione. Chiede in sostanza alla corte d'Appello di costringere Maria Teresa Guadagnino a farsi da parte.
E questo sulla base di quel che è stato scritto a pagina 85 della sentenza del 26 ottobre scorso. Qui si parla della «particolare capacità di delinquere» dell'onorevole Silvio Berlusconi. Un giudizio pesantissimo che il tribunale spiega ulteriormente in un successivo passaggio: «La capacità di delinquere è dimostrata nell'esecuzione del disegno, consistito nell'architettare un complesso meccanismo fraudolento ramificato in infiniti paradisi fiscale, con miriadi di società satelliti e conti correnti costituiti esclusivamente in funzione del disegno delittuoso». Da qui la mancata concessione delle attenuanti generiche e la condanna a 4 anni. Piero Longo, storico difensore del Cavaliere, ne trae le conseguenze: «È pacifico che il giudizio sulla capacità a delinquere è un giudizio attuale. In altri termini - aggiunge il penalista - per la dottoressa Guadagnino Silvio Berlusconi ha oggi particolare capacità a delinquere indipendentemente dal processo che lo riguardi». E per Longo, se queste sono le premesse, netta è la conclusione: «La dottoressa Guadagnino soffre di un grave pregiudizio accusatorio». E fallito nell'udienza di ieri il tentativo di convincerla ad astenersi, l'avvocato passa alla ricusazione. Per la cronaca l'onnipresente Guadagnino è giudice anche nel processo sulle cosiddette foto di Villa Certosa, in cui però il Cavaliere è parte civile.
La corte d'Appello valuterà prima l'ammissibilità della questione, poi entrerà nel merito. Intanto il dibattimento andrà avanti e s'interromperà solo alla vigilia della sentenza nel caso, assai improbabile, che la risposta della corte d'appello non sia ancora arrivata per quella data.
Il processo è a suo modo un unicum. La conversazione fra l'allora segretario dei Ds Piero Fassino e il numero uno di Unipol Giovanni Consorte viene captata il 17 luglio 2005, ai tempi della scalata di Unipol alla Bnl. Il 31 dicembre il Giornale la mette in prima pagina, anche se il testo non è stato ancora depositato e addirittura nemmeno sbobinato. E invece il nastro arriva in redazione. Il fatto suscita clamore, ma in realtà non è la prima volta che si verifica una fuga di notizie. La storia di Mani pulite è un susseguirsi di violazioni del segreto istruttorio. Solo che quasi mai la presunta talpa è stata acciuffata. In questo caso le cose vanno diversamente: l'imprenditore Fabrizio Favata racconta ai pm che il nastro è stato portato in regalo a Silvio e a suo fratello Paolo Berlusconi, l'editore del Giornale che a quel punto ha avuto gioco facile. La Procura chiede il rinvio a giudizio di Paolo ma, per una volta, ritiene di non avere elementi certi contro l'ex premier e propone l'archiviazione della sua posizione.

Sembra finita e invece no: a sorpresa il gip impone ai pm la formulazione del capo d'imputazione coatto. Una procedura rara che così viene sperimentata anche dal Cavaliere. Risultato: i fratelli Berlusconi si ritrovano nello stesso procedimento. Ora la ricusazione.

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