MilanoLa «caratura» di un boss si valuta anche dal tipo di covo che sceglie per nascondersi. E quello di Domenico «Mimmo» Cutrì è una villetta in ristrutturazione su due piani messagli a disposizione da un amico nel centro di Inveruno (a due passi dalla casa di mammà) con le inferriate a tutte le finestre. «Dettaglio» che, in caso d'irruzione da parte delle forze dell'ordine, non è esattamente secondario: senza nulla togliere alla bravura degli investigatori e alla procura di Busto Arsizio, che in sei giorni hanno arrestato ben 9 persone, da lì non sarebbe potuto scappare nemmeno il terrorista Carlos. E infatti Cutrì, ben lontano dalla figura del vero malavitoso, non ha potuto fuggire alle 2.43 dell'altra notte. Quando i carabinieri del Gis, le teste di cuoio dell'Arma - dopo aver localizzato quel nascondiglio pieno di pacchi di pasta ma senza acqua e senza un bagno - sono entrati in azione con cariche esplosive. Sorprendendo e disorientando l'evaso mentre dormiva insieme al suo complice Luca Greco, il pregiudicato 35enne unico ad essergli rimasto accanto dall'originario gruppo di fuoco entrato in azione una settimana fa a Gallarate, davanti alla sezione staccata del tribunale di Busto Arsizio dove Mimmo Cutrì doveva essere processato per rispondere dell'accusa di emissione di assegni falsi. Da lì la rocambolesca evasione del 32enne. Costata decine e decine di colpi a vuoto e soprattutto la vita al fratello 30enne, Nino. Che con la sua ossessione di far evadere il «suo» Domenico - convinto di averlo fatto finire in carcere per essersi fatto scoprire mentre lo aiutava nella latitanza - alla fine non solo è morto per rimettere il fratello in libertà per appena sei giorni, ma potrebbe averlo definitivamente condannato al carcere a vita.
La Cassazione, infatti, solo tra un paio di mesi si sarebbe pronunciata sulla conferma o meno dell'ergastolo di Domenico Cutrì. E lui, anziché costituirsi subito dopo l'evasione di lunedì - fallita per la morte del fratello e lo sbandamento totale in cui è piombata l'intera banda ma anche perché il commando era già sgangherato in origine e il piano ideato pieno di falle - è rimasto ben nascosto nella villetta di Inveruno. Così ora non solo l'autorità giudiziaria si guarderà bene dal rimettere in discussione il suo ergastolo, ma Mimmo Cutrì dovrà rispondere anche di evasione, di possesso della pistola a tamburo che gli hanno trovato nel covo (che al massimo contiene sei colpi e non gli poteva certo garantire la fuga) e, se l'arma è rubata, anche di ricettazione. Per un totale di altri 8-9 anni.
Ora, mentre si attende l'interrogatorio di garanzia nel carcere di Opera dove Mimmo e il fratello 23enne Daniele sono stati portati ieri, si cerca quindi anche un altro covo. Dopo l'appartamento di via dei Celsi a Gallarate, che i carabinieri di Varese hanno descritto come «di passaggio» e dove non è stato trovato nulla di particolarmente compromettente per la banda, il più interessante resta quello piemontese di Cellio. Nella casa tra i boschi, infatti, gli investigatori hanno rinvenuto un intero Tir di materiale: dvd, playstation e schermi da usare come passatempo per Mimmo, cibo, ma anche vistose parrucche e proiettili per organizzare rapine e finanziare così una latitanza che partiva già svantaggiata perché completamente priva di fondi economici. All'appello mancano però le armi usate una settimana fa per l'evasione a Gallarate. Nessuna delle pistole utilizzate dal commando infatti è stata ancora rinvenuta. E non si trovano nemmeno gli altri fucili che, oltre a quelli rinvenuti sulla Nissan Qashqai, secondo gli investigatori dovevano essere anche sulla Citröen C3 utilizzata per la fuga.
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