Toma«Una vergogna assoluta. Sono certo che Bersani, a meno che non gli sia venuto un coccolone, non possa essere d'accordo: che fa, si rimangia tutto quello che lui stesso ha sostenuto? Se queste sono le regole è pura discriminazione politica, faremmo ricorso: non voglio crederci». È durissimo Roberto Reggi, coordinatore della campagna di Matteo Renzi per le primarie. Tanto che ieri sera, tra i sostenitori del sindaco di Firenze, più d'uno ipotizzava di far saltare il tavolo e di tirarsi fuori da «una competizione falsata». «Non si possono indire le primarie dichiarando guerra a chi vuole partecipare», fa notare Domenico Petrolo, del dipartimento Cultura Pd.
Dai piani alti del Nazareno filtra una bozza di regolamento per la competizione che sembra cucita su misura per garantire la vittoria del segretario e far andare a votare solo militanti doc e iscritti organizzati dalla Cgil: preiscrizione a un albo, doppio turno chiuso (chi non vota al primo non ha diritto a partecipare al secondo), sottoscrizione tre settimane prima di un manifesto che dà diritto a una tessera che dà diritto a votare ma va ritirata in un luogo diverso dal seggio, eccetera. «Ci manca solo che dicano che può votare solo chi si presenta al seggio camminando sulle mani e poi siamo a posto», ironizza Lino Paganelli, il responsabile delle feste dell'Unità, schierato per Renzi. E tira fuori dalla cartella il regolamento delle primarie 2005 e cita: «Possono partecipare tutti i cittadini che abbiano titolarità del diritto attivo di voto per le elezioni della Camera. Punto: non c'è nulla da aggiungere o da cambiare».
«Una roba così non può passare all'assemblea di sabato», insorge Paolo Gentiloni. Il fuoco di sbarramento alzato subito dai renziani è talmente aspro che il quartier generale Pd è costretto a una prima retromarcia, e il responsabile dell'Organizzazione, Nico Stumpo, su mandato di Bersani cerca di spegnere l'incendio che sta divampando: «Non esiste ancora nulla di prestabilito, le regole per le primarie saranno discusse nell'assemblea di sabato e poi definite al tavolo della coalizione».
Alla vigilia del cruciale appuntamento, il clima nel Pd è pesantissimo. Bersani è preso tra due fuochi: da una parte il patto con Renzi (che infatti lo incalza ostentando fair play: «Sono sicuro che Bersani, che è persona seria e leale, non ricorrerà a certi trucchetti») per «primarie aperte», e la necessità di far quindi passare all'assemblea la modifica dello statuto Pd che prevede che il candidato premier sia automaticamente il segretario. Dall'altra il pressing furibondo di tutto lo stato maggiore del partito che le primarie non le vuole, e che è convinto (e lo ripete a Bersani) che, se non ci saranno vincoli molto stretti, la vittoria di Renzi è assai probabile. Con conseguente catastrofe per tutta la «vecchia guardia» del partito. Ieri sera è stato chiaro che, se si fosse arrivati all'assemblea con quel pacchetto di regole, lo scontro con i renziani, pronti a denunciare a gran voce il golpe sulle regole, sarebbe stato micidiale per l'immagine del Pd. Tanto che Veltroni (che si tira fuori dalla contesa dicendo che non dichiarerà per chi vota alle primarie) invoca un'intesa tra i candidati, altrimenti «rischiamo di distruggere il Pd: sottoposto a tensioni estreme il partito può spaccarsi». Per cercare di evitare il redde rationem politico sabato, l'escamotage ideato è quello di rinviare la scelta sul regolamento delle primarie a un futuro «tavolo della coalizione», con Tabacci, Vendola, Nencini e compagnia cantante. I quali però, fanno notare i renziani, sono tutti interessati a far sì che il vincitore sia Bersani, e la sua idea di coalizione che li comprende. La guerra a Renzi è ormai furibonda. Tanto che Ugo Sposetti gli fa i conti in tasca e assicura: «Per la campagna fatta finora ha speso almeno 2 milioni di euro».