Primarie con regole truffa per far trionfare Pier Luigi

Il regolamento Pd è un percorso di guerra pieno di trappole È studiato a tavolino per impedire una grande affluenza

Il leader del Pd, Pier Luigi Bersani
Il leader del Pd, Pier Luigi Bersani

Fatta la legge, trovato l'inganno? Macché, Pier Luigi Bersani è più avanti: l'inganno è incorporato nella legge. Il voluminoso regolamento delle primarie del centrosinistra (16 articoli per complessivi 93 commi) è stato meticolosamente studiato per impedire al maggior numero possibile di elettori di Matteo Renzi di recarsi ai gazebo. È un vero e proprio percorso di guerra, irto di trappole e trabocchetti, che smentisce amaramente l'ingenuità del sindaco di Firenze («Io di Bersani mi fido») e che ci restituisce un Pd tragicamente arroccato nel recinto rabbioso di un apparato sempre più impaurito.
La legge-truffa promulgata dal politburo del Nazareno impone le seguenti clausole per chi, sciaguratamente, volesse decidere il prossimo 25 novembre di votare alle «primarie della Coalizione di centro sinistra Italia Bene Comune» (come ufficialmente sono state battezzate): per prima cosa, l'intrepido elettore deve «sottoscrivere il pubblico appello di sostegno alla coalizione», pagare almeno due euro nonché «iscriversi all'Albo degli elettori»; può farlo anche nel giorno del voto, ma non nel gazebo, bensì «nelle sedi stabilite dal Coordinamento provinciale», dove «l'ufficio elettorale territorialmente competente» dovrà rilasciare il «certificato di elettore». A questo punto, esibendo un documento di identità, la tessera elettorale e il «certificato di elettore», lo stremato cittadino può essere finalmente ammesso al voto, ma «soltanto nel seggio che include la propria sezione elettorale». Se vive o lavora o più semplicemente si trova altrove, non può votare.
E siamo soltanto al primo turno. Perché votare al secondo, previsto per il 2 dicembre, è pressoché impossibile se non si è già fatta la lunga trafila per il primo. Sentite che cosa dice il comma 4 dell'articolo 14: «Possono altresì partecipare al voto coloro che dichiarino di essersi trovati, per cause indipendenti dalla loro volontà, nell'impossibilità di registrarsi all'Albo degli elettori entro la data del 25 novembre, e che, in due giorni compresi tra il 27/11 e il 01/12, stabiliti con delibera dal Coordinamento nazionale, sottoscrivano l'Appello pubblico in sostegno della Coalizione di centro sinistra e quindi si iscrivano all'Albo degli elettori». Il risultato pratico è mortificante, trasforma il secondo turno in un mercato dei voti (Vendola venderà i suoi a Bersani in cambio di un certo numero di seggi parlamentari) ed esclude dalla scelta gli elettori non allineati.
Per far funzionare alla perfezione la complessa macchina che deve impedire agli italiani di votare, Pd e Sel hanno mobilitato tutto intero il loro apparato burocratico: nasceranno infatti, accanto al «Collegio dei garanti» e al «Coordinamento nazionale», venti coordinamenti regionali, i coordinamenti provinciali e gli uffici elettorali, tutti composti esclusivamente dai funzionari ufficiali dei due partiti (anzi tre, perché c'è anche un sedicente Partito socialista). I rappresentanti di Renzi potranno soltanto partecipare, ma «come invitati e senza diritto di voto», ai coordinamenti locali. La loro presenza è esclusa anche dai seggi, gestiti integralmente dall'apparato senza alcun controllo indipendente.
Approvato alla chetichella venerdì scorso, il regolamento-truffa segna una svolta radicale rispetto al passato. È sufficiente confrontare le regole del 2005 (quando si tennero le ultime primarie di coalizione, vinte da Prodi) con quelle di oggi per comprendere come il gruppo dirigente del Pd (e di Sel) abbia deciso di rovesciare il tavolo pur di assicurarsi una vittoria sempre più incerta: nel 2005 non c'era nessuna registrazione prima del voto, potevano votare i sedicenni, era consentito votare al di fuori del proprio Comune, i candidati potevano acquistare spazi di propaganda e non c'era il doppio turno.
In queste condizioni, vincere per Renzi è pressoché impossibile. L'Italia sarà pure un «bene comune», come recita lo slogan scelto da Bersani, ma per lui e per gli oligarchi che reggono il Nazareno il Pd resta rigorosamente «cosa nostra».

Anziché apprezzare la discesa in campo del sindaco di Firenze, che allarga la platea elettorale del partito (salito nei sondaggi quasi al 30% dopo tre anni di stagnazione al 25%), Bersani ha scelto di costruire le barricate intorno ai gazebo e di schierare l'apparato contro gli elettori. È una mossa disperata, dalle conseguenze imprevedibili.

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