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Processo Ruby, i giudici al bivio Se salvano il Cav affossano i pm

Il compito è arduo: per condannare devono dimostrare che hanno mentito i poliziotti e la "vittima". La soluzione che accontenta e scontenta tutti: assoluzione per i rapporti con Karima

Processo Ruby, i giudici al bivio Se salvano il Cav affossano i pm

Milano - Ci sono voluti due anni e due mesi di udienze, di polemiche, di testimoni in lacrime, di visite fiscali, di show di Berlusconi a bordo aula, di balle e di verità mischiate in modo apparentemente imperscrutabile. Oggi tutti questi nodi vengono al pettine. Finisce il processo Ruby, il giudice Giulia Turri e le sue colleghe sbarcano in aula per l'ultima udienza e poi si ritirano in camera di consiglio per decidere. Ne usciranno, prima o poi, per pronunciare la sentenza. Che lascerà comunque intatte le certezze di entrambe le tifoserie, di chi ha considerato tutta questa storia la sacrosanta radiografia pubblica di un uomo di governo che con i suoi comportamenti dissoluti ha disonorato l'istituzione; come di chi pensa che la dispendiosa incursione giudiziaria in luoghi, orari e fatti privati non avesse altro fine che regolare i conti con l'eterno imputato Berlusconi.
La sentenza di oggi dovrà occuparsi d'altro, non di etica pubblica o privata, ma di reati, commi, indizi, attenuanti. E cioè, in sintesi: ci sono le prove che Silvio Berlusconi abbia avuto rapporti sessuali - anche se incompleti, anche se solo accennati, ma comunque compresi nella sfera della libidine - con Karima el Mahroug detta Ruby Rubacuori, avendo la piena consapevolezza che fosse minorenne, e pagandola prima e dopo in quattrini, gioielli e speranze? Ci sono le prove che la notte del 27 maggio 2010, quando seppe che era stata fermata, abbia indotto - approfittando del suo ruolo di presidente del Consiglio - i vertici della questura milanese a rilasciare la ragazza, violando le procedure e le indicazioni del pm di turno?
Questa è la sostanza del processo, ed è una sostanza su cui l'andamento delle udienze rende impervio per i giudici avventurarsi. Non è, tecnicamente parlando, un compito facile quello che attende oggi il giudice Turri e le sue colleghe. Chi le ha osservate nel corso di questi ventisei mesi di udienze, ha avuto la sensazione che fino all'ultimo non si fossero fatte una idea definita. Fino agli ultimi interrogatori, e nell'attenzione con cui hanno seguito le requisitorie e le arringhe, le tre giudici sono parse alla ricerca di tutti i tasselli che completassero il quadro preciso dei fatti accaduti e dimostrati. Niccolò Ghedini, nel suo ultimo intervento, ha accusato il tribunale di avere mostrato fastidio per l'attività delle difese. A volte può essere accaduto. Ma anche a Ilda Boccassini è toccato in alcune occasioni di sperimentare la spigolosità della sua collega Turri. Si può escludere serenamente che - per storia personale e inclinazioni culturali - Giulia Turri provi simpatia per Silvio Berlusconi. Ma si può anche escludere che se ne faccia influenzare oggi, quando entrerà in camera di consiglio.
Compito arduo, in ogni caso. Per condannare Berlusconi, servirebbe dare per assodato che hanno mentito in blocco, quando sono arrivati a testimoniare in aula, sia Ruby, la presunta vittima, sia i poliziotti milanesi che in corso di processo sono passati dal ruolo di vittime del Cavaliere a quello di suoi presunti complici. Ovviamente è possibile che abbiano mentito tutti: ma va dimostrato. Invece per assolvere Berlusconi ci vorrebbe, oltre a una sovrana indifferenza per gli aspetti etici di quanto emerso in aula, anche irriverenza nei confronti della Procura milanese, che in questo processo ha investito energie, soldi e prestigio. La sostanza è che oggi per Berlusconi può finire in qualunque modo, trionfo o tragedia. E in questo scenario aperto c'è anche la concreta possibilità di un pareggio che consentirebbe a Berlusconi di limitare i danni e alla Procura di non uscire sconfessata dal processo. Ci sono due capi d'accusa, ed è ben vero che sono intimamente legati: per la Procura l'intervento di Berlusconi sulla questura doveva impedire che si scoprissero i libertinaggi serali del Cavaliere, e ne costituisce dunque la prova. Ma muovendosi sul terreno del diritto si potrebbe comunque ritenere dimostrato un reato, e non provato - o non sufficientemente provato - l'altro. In questa ipotesi, sarebbe forse più agevole per il tribunale condannare Berlusconi per la telefonata alla questura, che se non altro è un fatto storicamente accertato, anche se divergono le sue interpretazioni; e assolverlo per i rapporti ravvicinati con Karima el Mahroug, ritenendo indimostrato che il Cavaliere fosse consapevole della minore età dell'aitante fanciulla. Condanna per il reato che il codice considera più grave, e assoluzione per l'accusa mediaticamente e eticamente più indigesta. Tanto poi, nelle motivazioni, nulla impedirebbe alle giudici di scrivere severamente sulle allegre serate di Arcore.
Ma è solo uno scenario, dei tre o quattro possibili.

La verità è che mai, nella storia ventennale dei processi a Berlusconi, si era arrivati ad una vigilia di sentenza dall'esito tanto incerto.

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