Processo Ruby, sentenza dopo il voto. Boccassini ko

MilanoAlla fine, anche questo andrà annoverato tra i tanti misteri del caso Ruby. Come mai quello che si preannunciava come uno scontro al calor bianco, con la Procura scatenata per inchiodare Berlusconi prima del voto, e con il tribunale schierato a sostegno di Ilda Boccassini nella marcia a tappe forzate verso la sentenza, si sgonfia all'improvviso come un soufflé riuscito male? Cosa è accaduto in una settimana perché l'aula del più hot dei processi al Cavaliere, teatro di aspre schermaglie e scontri furibondi, si trasformasse all'improvviso in un salotto delle buone maniere, con i giudici che tolgono le castagne dal fuoco all'imputato, e persino la Boccassini nemmeno si arrabbia? Miracoli della diplomazia sotterranea, o semplici ripensamenti? Mah.
Sta di fatto che ieri mattina, nell'aula del processo per concussione e prostituzione minorile al Cavaliere, il clima si ribalta di botto. E si decide che né la sentenza né - verosimilmente - la requisitoria andranno a ingombrare la ribalta della campagna elettorale. Da qui al voto si traccheggerà in qualche modo cercando di dare un senso alle udienze: e poi si vedrà. Il giudice Giulia Turri ieri lascia che Niccolò Ghedini e Piero Longo, legali di Berlusconi, avanzino un'altra volta la loro richiesta di moratoria elettorale, e chiedano di sospendere le udienze in quanto sia l'imputato che i suoi avvocati-candidati sono impegnati nei comizi: rinvio già chiesto una volta, già respinto, e che verrà poi nuovamente rifiutato. Ma appena i due difensori hanno finito di parlare, il giudice prende la parola e spiega che ci sono delle novità: la richiesta di trasferimento di una delle sue giudici a latere, giacente da tempo, è stata improvvisamente accolta; inoltre due processi con imputati detenuti sono stati fissati altrettanto a bruciapelo per il mese prossimo; insomma sono insorti degli ostacoli pratici che spostano in là, a marzo inoltrato, la data in cui si può pensare di chiudere il processo Ruby. D'altronde, dice soavemente il giudice alla Boccassini, anche alla Procura magari potrebbe fare comodo una pausa di riflessione prima di pronunciare la requisitoria, no?
La Boccassini di una volta sarebbe insorta gridando alla giustizia violata. Invece ieri accoglie il ribaltone con aplomb. Prende la parola per dire che lei di pause di riflessione, dopo un processo durato un anno e mezzo, non sente affatto il bisogno; «ma mi rimetto alla decisione del tribunale». Tutto qui. Ghedini e Longo, ovviamente, gongolano. Insistono perché il tribunale dichiari anche la tregua elettorale, ma ormai è solo una battaglia di principio e di facciata. L'obiettivo è comunque raggiunto. Gli italiani andranno al voto senza sapere se Berlusconi per la giustizia è colpevole o innocente.
Come si sia arrivati alla svolta è materia da dietrologia politico-giudiziaria in cui è arduo districarsi. È evidente che gli improvvisi impegni dei giudici forniscono una giustificazione formale a una scelta che punta a disinnescare almeno per ora lo scontro tra la magistratura milanese e il centrodestra. Può darsi che Giulia Turri si sia sentita un po' «scoperta» dopo che giovedì scorso il suo collega, e presidente della sua sezione, Oscar Magi aveva deciso di sospendere invece il processo per il caso Unipol. Ma è anche possibile che la moral suasion cui gli emissari dei due versanti non avevano mai cessato di lavorare abbia alla fine sortito i suoi effetti.
Le udienze - visto che la moratoria elettorale viene comunque rifiutata - proseguono: ma alla moviola. Lunedì prossimo, se si riuscirà a notificarle l'invito, verrà interrogata come ultimo teste a difesa la signora El Mahroug, ovvero la mamma di Ruby: che non si annuncia come un teste chiave, visto che ad Arcore non ci ha mai messo piede.

Il 4 e l'11 febbraio ci si terrà liberi nel caso che difese, Procura o lo stesso tribunale decidano di voler sentire nuovi testimoni. Poi arrivederci fino a dopo il voto. Il 4 marzo, probabilmente, la requisitoria di Ilda Boccassini e Antonio Sangermano. Parola alle difese l'11 e il 18, poi la sentenza. A Parlamento rinnovato.

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